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autocritica dei partiti proletari, del tipo di quella che Lenin stesso operò, ad una
svolta dell’azione rivoluzionaria, con lo scritto L’estremismo, malattia infantile del
comunismo (1920). L’elaborazione teorica della dottrina ha una sua storia interna.
Contro le posizioni del « revisionismo », che tendeva a ridurre il marxismo a un
semplice canone di interpretazione della storia, Lenin affermò il carattere di «
concezione del mondo » (Weltanschauung) globale del marxismo e sostenne il
legame inscindibile del materialismo storico col materialismo dialettico. Lo scritto
Materialismo ed empiriocriticismo (1909) contiene una difesa del marxismo
ortodosso anche contro le tendenze di tipo « idealistico », derivate dalle riflessioni
allora più avanzate sul fondamento e sul metodo delle scienze naturali. Nell’opera
Che fare? (1902) Lenin era venuto intanto chiarendo la sua dottrina della funzione
del partito nell’ambito della classe operaia, polemizzando in particolare con le
concezioni dei cosiddetti « economisti », Abbandonati alla spontaneità, i lavoratori
pervengono al massimo a concepire un’azione rivendicativa a livello sindacale
(tradeunionismo). Il socialismo non è una acquisizione naturale e automatica della
coscienza di classe, ma è stato anche storicamente il prodotto ultimo della grande
cultura borghese, elaborato e filtrato da intellettuali non proletari. Deriva dalla
stessa matrice dello « spontaneismo » l’altra preoccupazione piccolo-borghese di
lasciare che la classe operaia si organizzi dal basso, con il rituale delle garanzie di
democraticità e di rappresentatività. Al contrario, solo un partito composto da
rivoluzionari professionali e retto da una disciplina di ferro può guidare con
successo la classe operaia ad assolvere il suo compito storico.
Lenin accolse invece le indicazioni e si mosse comunque su una linea assai vicina a
quella dei teorici del cosiddetto « neomarxismo » (R. Hilferding, R. Luxemburg, F.
Sternberg). Impegnati a verificare la validità del pensiero di Marx nell’analisi della
nuova fase del capitalismo, essi la giudicarono caratterizzata dal predominio
crescente del capitale finanziario e dalla connessa politica imperialistica degli Stati.
Nell’opera Imperialismo, fase suprema del capitalismo (1917), fondamentale per la
comprensione del suo pensiero, Lenin interpretò il mancato verificarsi della crisi
suprema del sistema capitalistico in dipendenza della caduta tendenziale del saggio
di profitto, accettando l’idea che gli investimenti di tipo coloniale e semicoloniale,
consentendo lo sfruttamento di una manodopera a bassissimo prezzo, avessero
comportato una diminuzione della composizione organica del capitale, modificando
il processo previsto da Marx dei crescenti investimenti relativi in capitale fisso. Di
qui la certezza di Lenin, maturata nel corso della prima guerra mondiale, che il
tramonto dell’imperialismo coloniale avrebbe coinciso con la fine del sistema
capitalistico mondiale nel suo complesso.
Motivi teorici importanti del leninismo sono inoltre la conferma della ineluttabilità
delle crisi periodiche di sovrapproduzione anche nella nuova fase del capitalismo e
l’analisi dello sviluppo del capitalismo nell’agricoltura, che costituisce un vero
approfondimento della teoria marxista della rendita differenziale e assoluta. Da
questa premessa Lenin derivò la necessità dell’alleanza del proletariato urbano con
le masse contadine, che fu una delle grandi linee strategiche della sua azione