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a Parigi nel 1672: il Re Sole non lo prese troppo sul serio e gli interventi del
filosofo non sortirono un effetto apprezzabile. Leibniz restò comunque a Parigi
quattro anni (con la sola interruzione di un breve viaggio a Londra nel 1673),
entrando in contatto con tutte le personalità più in vista, quali Malebranche e
Huygens, e approfondendo gli studi di matematica. Al termine del soggiorno parigino
(1676) fu così in grado di dare una prima sistemazione all’intuizione del calcolo
infinitesimale. Lasciò la Francia verso la fine dell’anno per andare ad Hannover, a
ricoprire il posto di bibliotecario di corte offertogli dal duca di Brunswick-
Luneburgo. Le sue maggiori opere filosofiche furono composte in questo periodo di
forzato raccoglimento, durante il quale peraltro egli continuò a occuparsi di politica.
Come matematico, pubblicò nel 1684 un Nuovo metodo per la determinazione dei
massimi e dei minimi, che conteneva ormai le linee definitive della sua impostazione
del calcolo infinitesimale. Sulla priorità della scoperta si accese un’aspra polemica
fra Leibniz e Newton. Come geologo, fu il primo a rilevare che alcune rocce sono di
natura endogena e altre di natura esogena. Come teologo, ricercò la base minima di
concordanze dottrinarie che avrebbe potuto assicurare il riavvicinamento delle
Chiese cristiane, ebbe uno scambio di lettere con Bossuet su questo argomento e
pubblicò nel 1684 il suo Systema theologicum. Come storico, fu un avvertito
ricercatore e indagatore di documenti; ricercò nella linguistica comparata un metodo
per individuare l’origine dei vari popoli ed ebbe l’intuizione di una scienza delle
trasformazioni della Terra anteriori alla comparsa dell’uomo. Tuttavia, nonostante
tante e così varie anticipazioni, Leibniz resta soprattutto una grande figura di
filosofo. Nel 1684, con le Meditazioni sulla conoscenza, la verità e le idee, si
distaccò definitivamente da Cartesio e gettò le basi della distinzione, così importante
per gli sviluppi del suo pensiero, fra la possibilità logica e la possibilità reale, il che
lo portò all’ulteriore connessa distinzione fra il principio di non contraddizione e
quello di ragion sufficiente. Negli opuscoli scritti fra il 1691 e il 1694 elaborò il
nucleo centrale della sua metafisica, sostenendo contro Cartesio che l’essenza dei
corpi è data dalla forza e non dall’estensione. Nel Nuovo sistema della natura e
della comunicazione delle sostanze (1694) sviluppò la dottrina dell’armonia
prestabilita, già abbozzata più volte in scritti precedenti. Fissate così le chiavi di
volta del suo sistema, Leibniz lo espose successivamente da tre punti di vista
differenti nelle sue tre opere fondamentali.
Nei Nuovi saggi sull’intelletto umano* (1704), ponendosi dal punto di vista del
problema della conoscenza e sottolineando anche nel titolo l’intenzione polemica
antilockiana, combatte la concezione della mente umana come « tabula rasa » e
prende posizione in favore dell’innatismo: la sola esperienza non basta a spiegare la
conoscenza umana; ci sono in noi verità universali e necessarie che ci si rivelano
all’occasione dell’esperienza, ma che preesistono ad essa. L’innatismo leibniziano
trova la sua formulazione più sintetica in un famoso adagio scolastico,
opportunamente integrato: Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi
intellectus ipse (« niente è nell’intelletto che non sia già stato nel senso, tranne
l’intelletto stesso »).