Page 477 - Dizionario di Filosofia
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diritto  (1960), La  realtà  del  diritto  (1963), Amore,  amicizia,  giustizia  (1969),

          Socializzazione,  amministrazione,  sviluppo  (1971), Problemi  e  tendenze  della
          filosofia del diritto contemporaneo (1971).
          LEGISTI. Nome dato ai seguaci di una scuola politico-filosofica dell’antica Cina. Le
          dottrine  dei legisti  (in  cinese fang shu chih shih, uomini del metodo) risalgono a

          Shen Tao, a Shen Pu-hai e a Shang Yang, vissuti nel IV sec. a.C., ed ebbero completa
          elaborazione da parte di Han* Fei. Essi sostenevano la necessità di una legislazione
          e  di  una  organizzazione  sociale  ispirate  non  agli  esempi  dell’antichità,  cari  alla
          filosofia  politica  confuciana,  ma  fondate  da  un  lato  sulle  reali  condizioni  socio-
          economiche  del  paese  e  dall’altro  sulle  tendenze  basilari  dell’animo  umano  a
          cercare il proprio vantaggio e a evitare il proprio danno: l’opera del sovrano deve
          essere perciò rivolta a stabilire leggi realistiche e precise e a premiare chi rispetta
          tali leggi e a punire chi le viola. L’uomo di governo non deve essere necessariamente

          un saggio, come sostenevano i taoisti, in quanto deve semplicemente applicare una
          tecnica politica, e delegare parte dei suoi poteri a funzionari scelti in base alle loro
          effettive capacità.
          LEIBNIZ  (Gottfried  Wilhelm VON),  filosofo  e  matematico  tedesco  (Lipsia  1646  -

          Hannover 1716). A quindici anni conosceva già a fondo le lingue classiche, aveva
          letto gli scrittori greci e latini e intrapreso lo studio della scolastica. Cominciò poi a
          leggere  i  moderni:  Bacone,  Cardano,  Campanella,  Keplero,  Galileo,  Cartesio,  e
          aderì al meccanicismo cartesiano. Nel 1663 divenne magister philosophiae a Lipsia
          discutendo una tesi sul principio di individuazione (De principio individui), nella
          quale  faceva  proprie  le  posizioni  nominalistiche.  Nel  1666  si  laureò  in
          giurisprudenza presso l’università di Altdorf, discutendo la tesi De casis perplexis

          in  iure.  Il  trattato De  arte  combinatoria,  pubblicato  nello  stesso  anno,  è
          un’anticipazione  importante  della  logica  simbolica  e  del  calcolo  logico  moderni.
          Intanto  il  Leibniz,  che  era  affiliato  ai  rosacroce,  diventò  a  Norimberga  segretario
          della sezione locale delia setta, entrò per questa via in rapporti di amicizia con il
          barone  di  Boyneburg,  ministro  del  vescovo-elettore  di  Magonza,  e  poté  così  dar

          corpo  alla  sua  ambizione  di  occuparsi  della  politica  internazionale.
          Contemporaneamente,  in  cinque  anni  di  attività  fecondissima,  egli  dette  prova  del
          suo ingegno multiforme pubblicando uno scritto di argomento teologico (Professione
          di fede della natura contro gli atei [Confessio naturae contra atheistas], 1668), un
          trattato  di  diritto  costituzionale  (Trattato  sull’elezione  dei  re  di  Polonia,  1669),
          scritti di matematica e di meccanica (Trattato del movimento astratto e Trattato del
          movimento  concreto,  1670).  Nello  stesso  periodo  lo  studio  del  dogma  cattolico
          della  transustanziazione  e  del  dogma  luterano  della  consustanziazione  gli  impose

          l’approfondimento  del  concetto  di  sostanza,  gli  fece  sentire  l’insufficienza  della
          nozione cartesiana e lo portò a meditare su quello che sarebbe stato il tema centrale
          della  sua  metafisica.  Nei  suoi  sfortunati  tentativi  diplomatici  Leibniz  perseguì
          sempre due grandi obiettivi: quello della unificazione delle Chiese cristiane e quello
          dell’abolizione della guerra fra gli Stati europei. Proprio con lo scopo di deviare

          verso la conquista dell’Egitto le ambizioni espansionistiche di Luigi XIV egli si recò
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