Page 445 - Dizionario di Filosofia
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celesti in cui avrebbero sede le Idee.
          IPÒSTASI  (gr. hypóstasis, lo stare sotto). Termine che, usato talora in filosofia per
          indicare ciò che realmente è (e quindi come sin. di SOSTANZA), in contrapposizione
          alla sua apparenza, e da  Plotino per indicare le tre sostanze principali o principi

          divini, è stato assunto dalla teologia cristiana per designare ognuna delle tre persone
          divine considerate come sostanzialmente distinte. La parola indica infine anche un
          modo sotto cui si può presentare una realtà o un’idea astratta (detto soprattutto di
          divinità). La filosofia neoplatonica aveva come fondamento la dottrina delle ipostasi,
          cioè  dei  principi  divini.  Plotino  distingueva  tre  ipostasi  primarie:  l’Uno,  prima
          ipostasi, che è al di sopra di tutte le cose e del quale non si può dire nulla, se non che
          è: tò hén tò ón; l’Intelligenza, seconda ipostasi, che contiene in sé le forme eterne, le

          Idee nel senso platonico; l’Anima, terza ipostasi, che produce e governa il mondo
          sensibile  modellandolo  sulle  idee  dell’Intelligenza.  Nel  corso  della  controversia
          trinitaria  il  termine  fu  usato  dalla  patristica  per  sottolineare  l’esistenza  autonoma
          delle tre persone della Trinità, a ciascuna delle quali fu quindi attribuito il carattere
          di ipostasi.

          IPOSTATIZZARE. Attribuire l’esistenza sostanziale a ciò che non l’ha. (Nella filosofia
          kantiana e nell’attualismo il termine ricorre di solito con una sfumatura dispregiativa,
          in quanto indica quella tipica inclinazione del pensiero metafisico e dell’intelletto
          astratto da cui nascono le questioni insolubili e gli pseudoproblemi.)
          IPÒTESI  (gr. hypóthēsis, supposizione).  Proposizione o giudizio che si pone come
          base  di  un  procedimento  logico,  prendendo  come  vero  un  fatto  che  potrà  essere

          verificato in base alle sue conseguenze.
          Nel pensiero greco classico, l’ipotesi è sempre una proposizione non provata o non
          immediatamente  verificabile,  assunta  come  premessa  di  un  discorso.  Platone  e
          Aristotele danno solo una valutazione differente del rilievo logico dell’ipotesi, nel
          senso che Platone ritiene che ogni ragionamento debba necessariamente muovere da
          ipotesi,  e  che  perciò  il  buon  ragionatore  si  distingua  solo  per  la  sua  capacità  di

          scegliere le più « forti », mentre Aristotele considera gli argomenti fondati su ipotesi
          come un ripiego rispetto a quelli veramente rigorosi, che poggiano solo sugli assiomi
          e sulle definizioni. Nelle prime riflessioni sul metodo delle scienze della natura, e
          tipicamente  in  Locke,  ipotesi  indica  la  causa  presunta  del  fenomeno  osservato.
          Poiché,  per  ampia  che  sia  la  base  di  osservazione  e  ricca  la  verifica,  la  causa
          proposta  nell’ipotesi  resta  pur  sempre  una  congettura,  è  comprensibile  che  gli
          scienziati,  diffidenti  dinanzi  a  possibili  ritorni  dell’arbitrio  metafisico,  abbiano

          raccomandato  e  raccomandino  la  cautela  e  il  correttivo  costante  del  dubbio
          nell’assunzione  delle  ipotesi. È  in  questo  spirito  che  va  intesa  la  celebre
          dichiarazione di  Newton: hypotheses non fingo, non invento ipotesi. Lo scienziato
          rinuncia a indicare in entità occulte non verificabili le cause presunte dei fenomeni
          osservati e si limita rigorosamente a una descrizione, nella quale, almeno nelle sue

          intenzioni, la causa stessa entra solo in quanto strettamente e univocamente emergente
          dal fatto. La scienza non procede tuttavia solo per paziente accumulo di osservazioni
          e per assestamento molecolare delle ipotesi: le svolte fondamentali sono anzi dovute
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