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celesti in cui avrebbero sede le Idee.
IPÒSTASI (gr. hypóstasis, lo stare sotto). Termine che, usato talora in filosofia per
indicare ciò che realmente è (e quindi come sin. di SOSTANZA), in contrapposizione
alla sua apparenza, e da Plotino per indicare le tre sostanze principali o principi
divini, è stato assunto dalla teologia cristiana per designare ognuna delle tre persone
divine considerate come sostanzialmente distinte. La parola indica infine anche un
modo sotto cui si può presentare una realtà o un’idea astratta (detto soprattutto di
divinità). La filosofia neoplatonica aveva come fondamento la dottrina delle ipostasi,
cioè dei principi divini. Plotino distingueva tre ipostasi primarie: l’Uno, prima
ipostasi, che è al di sopra di tutte le cose e del quale non si può dire nulla, se non che
è: tò hén tò ón; l’Intelligenza, seconda ipostasi, che contiene in sé le forme eterne, le
Idee nel senso platonico; l’Anima, terza ipostasi, che produce e governa il mondo
sensibile modellandolo sulle idee dell’Intelligenza. Nel corso della controversia
trinitaria il termine fu usato dalla patristica per sottolineare l’esistenza autonoma
delle tre persone della Trinità, a ciascuna delle quali fu quindi attribuito il carattere
di ipostasi.
IPOSTATIZZARE. Attribuire l’esistenza sostanziale a ciò che non l’ha. (Nella filosofia
kantiana e nell’attualismo il termine ricorre di solito con una sfumatura dispregiativa,
in quanto indica quella tipica inclinazione del pensiero metafisico e dell’intelletto
astratto da cui nascono le questioni insolubili e gli pseudoproblemi.)
IPÒTESI (gr. hypóthēsis, supposizione). Proposizione o giudizio che si pone come
base di un procedimento logico, prendendo come vero un fatto che potrà essere
verificato in base alle sue conseguenze.
Nel pensiero greco classico, l’ipotesi è sempre una proposizione non provata o non
immediatamente verificabile, assunta come premessa di un discorso. Platone e
Aristotele danno solo una valutazione differente del rilievo logico dell’ipotesi, nel
senso che Platone ritiene che ogni ragionamento debba necessariamente muovere da
ipotesi, e che perciò il buon ragionatore si distingua solo per la sua capacità di
scegliere le più « forti », mentre Aristotele considera gli argomenti fondati su ipotesi
come un ripiego rispetto a quelli veramente rigorosi, che poggiano solo sugli assiomi
e sulle definizioni. Nelle prime riflessioni sul metodo delle scienze della natura, e
tipicamente in Locke, ipotesi indica la causa presunta del fenomeno osservato.
Poiché, per ampia che sia la base di osservazione e ricca la verifica, la causa
proposta nell’ipotesi resta pur sempre una congettura, è comprensibile che gli
scienziati, diffidenti dinanzi a possibili ritorni dell’arbitrio metafisico, abbiano
raccomandato e raccomandino la cautela e il correttivo costante del dubbio
nell’assunzione delle ipotesi. È in questo spirito che va intesa la celebre
dichiarazione di Newton: hypotheses non fingo, non invento ipotesi. Lo scienziato
rinuncia a indicare in entità occulte non verificabili le cause presunte dei fenomeni
osservati e si limita rigorosamente a una descrizione, nella quale, almeno nelle sue
intenzioni, la causa stessa entra solo in quanto strettamente e univocamente emergente
dal fatto. La scienza non procede tuttavia solo per paziente accumulo di osservazioni
e per assestamento molecolare delle ipotesi: le svolte fondamentali sono anzi dovute