Page 438 - Dizionario di Filosofia
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categorie.  In  Hegel  le  espressioni  in  sé  (an  sich)  e  per  sé  (für  sich)  servono  a

          qualificare modi di essere dell’Idea: lo Spirito è definito, per es., come l’Idea in sé
          e  per  sé  ossia  come  il  momento  che  racchiude  sia  l’immediatezza  grezza,  che
          l’esperienza che da essa muove a piena consapevolezza, cogliendo le necessità di
          ogni momento e la loro sistematicità.
          L’esistenzialismo,  seguendo  l’inclinazione  linguistica  che  lo  porta  a  sostantivare
          molte  espressioni  relazionali,  ha  usato  e  usa  in  sé  e  per  sé  come  nomi.  In  quella

          specie di disperata rappresentazione drammatica dell’esistenza che è L’essere e il
          nulla* di J.-P. Sartre l’in sé e il per sé sono i protagonisti sempre in scena: l’essere
          diventa  per  sé  in  quanto  nullifica  l’in  sé,  cioè  introduce  nel  mondo  opaco
          dell’esserci  la  separazione,  il  distacco,  la  dimensione  dell’incompiutezza  e  della
          possibilità.  La  coscienza,  come  pura  possibilità,  è  figlia  del  nulla  e  tende  alla
          pienezza  realizzata  dell’in  sé.  Se  l’uomo  potesse  portare  a  compimento  questo
          progetto,  sarebbe  Dio.  Ma  poiché  l’integrazione  totale  della  possibilità  è

          irrealizzabile, l’uomo, che non può non aspirare a essere Dio, resterà sempre un Dio
          mancato.
          INTEGRALISMO.  Concezione  secondo  la  quale  tutte  le  attività  umane  dovrebbero
          realizzare i principi di una determinata dottrina.

          INTELLETTO. Nella filosofia greca la parola nûs, resa in latino con intellectus, viene
          usata in genere per designare la facoltà di pensare, contrapposta di solito ai sensi,
          che non pensano, cioè non ordinano e non scelgono. San Tommaso chiarisce il senso
          del  termine  mediante  una  sua  etimologia: intelletto  viene  da intus legere, leggere
          dentro, il che vuol dire che la sua funzione è di cogliere l’essenza razionale delle
          cose,  mentre  i  sensi  hanno  per  oggetto  le  qualità  esteriori.  Oltre  che  ai  sensi,

          l’intelletto  viene  anche  contrapposto  alla  volontà:  nella  filosofia  cartesiana,  dallo
          squilibrio  fra  il  primo,  organo  della  conoscenza,  e  la  seconda,  organo  delle
          emozioni,  delle  passioni  e  delle  scelte,  deriva  la  possibilità  dell’errore.  In  Kant
          compare la distinzione, destinata ad avere grande rilievo nell’idealismo romantico,
          fra  l’intelletto  (Verstand),  facoltà  di  pensare  le  intuizioni  sensibili,  e  la  ragione
          (Vernunft),  facoltà  dell’universale  e  dell’incondizionato.  Con  Fichte  e

          particolarmente  con  Hegel,  cadute  le  riserve  kantiane  sulla  legittimità  delle
          ambizioni della ragione, l’intelletto diventa l’organo della conoscenza astratta, che
          fissa le cose nella loro diversità, estraneità e immobilità, mentre il pensare autentico
          si  rivela  nella  ragione,  che  sola  è  in  grado  di  cogliere  le  multiformi  correlazioni
          della  realtà  mobile  e  vivente.  L’intelletto  immobilizza  l’inquietudine  e  la  fluidità
          dell’universo.  All’intelletto  si  assegna  così  un  compito  subordinato  e  fortemente
          limitato;  esso  è  oggetto  di  una  incessante  polemica,  condotta  in  nome  dei  diritti

          superiori  della  ragione:  gli  aggettivi  che  di  solito  lo  qualificano,  come  astratto,
          rigido,  impotente,  hanno  tutti  una  marcata  tonalità  negativa.  La  distinzione
          terminologica  e  la  polemica  contro  le  pretese  dell’intelletto  sono  passate  anche
          nell’idealismo italiano, e cioè nel  Croce e nel  Gentile.  L’intelletto è l’organo del
          pensiero finito, dominato dal principio di non contraddizione, che separa gli opposti
          con una barriera insormontabile, mentre la ragione è il pensiero dialettico, che coglie
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