Page 436 - Dizionario di Filosofia
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totale e autosufficiente razionalità. L’unità di finito e di infinito, che è una delle
formule tipiche della filosofia hegeliana, designa appunto l’autogiustificazione del
reale, l’identità del reale e dell’ideale, e vale a togliere alla « cattiva infinità »,
generata dall’intelletto « astratto », la funzione di stimolo e di apertura verso l’ideale
non realizzato, che Kant le aveva riconosciuto. In questo senso il concetto del «
possibile », che ha una funzione così importante nella filosofia dell’esistenza, può
essere considerato come una reintegrazione e una riabilitazione della « cattiva »
infinità hegeliana.
La legittimità del concetto di infinito attuale è peraltro, sul piano più propriamente
logico-formale, una conquista del pensiero matematico moderno, soprattutto a partire
dagli studi pubblicati da J. Dedekind e da G. Cantor nella seconda metà del XIX sec.
La possibilità che in una classe infinita di grandezze la parte sia equivalente al tutto,
nel senso che sia costruibile una corrispondenza biunivoca fra ciascun individuo
della parte e ciascun individuo del tutto (come si verifica, per es., fra la classe dei
numeri primi e la classe di tutti i numeri naturali), e la conseguente necessità di
concepire infiniti « maggiori » di altri infiniti, sono fra le implicazioni più
sconcertanti del concetto di infinito attuale. Un esempio convincente della
pensabilità dell’infinito attuale è fornito dalle cosiddette « serie ricorrenti ». Si
ponga mente, per citare l’esempio del filosofo americano J. Royce, a una
perfettissima carta geografica dell’Inghilterra, che riproduca tutti i particolari e
quindi anche se stessa stesa sull’Inghilterra. Qui sembra che la consapevolezza
dell’inevitabilità della ripetizione includa una sorta di intuizione dell’infinito attuale.
INGARDEN (Roman Witold), filosofo polacco (Cracovia 1893 - 1970). Allievo di
Husserl, è stato professore prima all’università di Leopoli (1933) e successivamente
a Cracovia (1945-1963). Studioso di problemi scientifici oltre che filosofici, ha
svolto in senso realistico il metodo fenomenologico, occupandosi in particolare
delle questioni relative all’arte. Ha tentato di mettere in luce il carattere non soltanto
soggettivo dei fenomeni estetici, indagando la relazione che intercorre tra opera
d’arte e fondamento reale di questa.
Bibliogr.: Das literarische Kunstwerk, Halle 1931; Untersuchungen zur Ontologie
der Kunst: Musikwerk, Bild, Architektur, Film, Tubinga 1962; Times and modes of
Being, Springfield 1964; su I.: Aa. Vv., Phenomenology and science in
contemporary european thought, Nuova York 1962; M. Dufrenne, Phénomenologie
de l’éxpérience esthétique, Parigi 1958.
INNATISMO. Ogni dottrina filosofica che si fondi sull’affermazione di idee o principi
innati nella mente umana.
Nella storia della filosofia occidentale la formulazione più antica dell’innatismo è
quella platonica, secondo la quale l’uomo nasce portando in sé le idee e i principi
universali: la funzione dell’esperienza è solo quella di facilitare il recupero nella
memoria (anamnesi) di queste cognizioni temporaneamente dimenticate. L’esigenza
fondamentale che l’innatismo vuole soddisfare è quella di conferire, almeno a certe
verità e a certi principi soprattutto morali, la stabilità e l’assolutezza, che non
potrebbero essere garantite se si ammettesse la derivazione di quelli dall’esperienza.