Page 435 - Dizionario di Filosofia
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sono quindi incluse nella sua definizione (per es., l’uomo è un animale « ragionevole
»).
INFERENZA. Qualunque operazione mentale con cui si passa da una proposizione
considerata come vera a un’altra proposizione. La scolastica distingueva la
inferenza immediata, per cui si deriva direttamente dalla proposizione data la
conseguenza inferita, dalla inferenza mediata, in cui la connessione fra le due è
realizzata mediante alcune proposizioni intermedie. Nella logica di J. Stuart Mill il
processo fondamentale del pensiero è « l’inferenza dal particolare al particolare ». Il
termine è stato reintrodotto nell’uso filosofico moderno dalla logica positivistica
inglese.
INFERIORE. Nella logica classica si dice di un termine subordinato a un altro
(superiore), e cioè incluso nell’estensione* di quest’ultimo.
INFINITO. Nella storia della filosofia la nozione di infinito è stata intesa in modi
diversi. Nel pensiero greco prevale il concetto di infinito come ciò che non è
compiuto, o còme ciò che non ha limite. Aristotele osserva che il termine infinito (in
gr. ápeiron) non designa una realtà, ma un processo, nel senso che si chiama infinito
quello che ha sempre qualcosa oltre di sé. Questa riluttanza ad accettare l’infinito
come realtà va spiegata, più che con il luogo comune dell’amore dello spirito greco
per l’ordine e la misura, con la consapevolezza delle aporie implicite
nell’assunzione di tale concetto. Così anche Lucrezio definisce l’infinito con
un’operazione attraverso la quale si verifica mentalmente che non è possibile fissare
un limite allo spazio: arrivati all’estremo presupposto, sarà sempre possibile
lanciare una freccia, ed esisterà sempre qualcosa al di là, sia che la freccia si inoltri
nel vuoto, sia che urti contro un ostacolo. L’infinità spaziale e temporale e l’infinita
divisibilità sono per Kant una delle alternative della prima coppia delle antinomie
della cosmologia razionale, originate dalla pretesa della ragione di pensare l’idea
del mondo come totalità dei fenomeni. La ragione è sballottata senza possibilità di
decidere fra l’assunzione dell’infinità spaziotemporale e dell’infinita divisibilità e
l’assunzione altrettanto legittima e plausibile dell’opposta alternativa della finitezza
spaziale del mondo, della sua origine in un punto del tempo, del necessario arresto
della divisibilità a un limite ultimo.
A questo concetto di infinito potenziale dapprima la metafisica poi la matematica
hanno contrapposto quello dell’infinito attuale, cioè realmente esistente come tale.
La nozione ha avuto particolare rilievo nel neoplatonismo ed è poi entrata nella
tradizione della teologia e della filosofia cristiane. In Plotino, in sant’Anselmo, in
san Tommaso, in Duns Scoto, in Cartesio, come del resto in Spinoza, l’infinità
attribuita all’Uno, o a Dio, o alla Sostanza non designa più l’inesauribilità della
quantità, in qualunque modo sia quest’ultima intesa, ma l’incommensurabilità
qualitativa col finito, la totalità delle perfezioni possibili, l’essere principio e causa
di se stesso. In questa accezione fondamentalmente teologica il concetto è stato usato
dall’idealismo classico tedesco. L’Io di Fichte è infinito in quanto è attività
autogenerantesi; Hegel dal canto suo contrappone alla « cattiva » infinità, che è
l’infinito come possibilità, il « vero » infinito, che è la realtà stessa intesa come