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modo particolare ha approfondito il concetto di individualità e messo in rilievo
l’inadeguatezza della definizione puramente negativa costruita sulla nozione di
indivisibilità. Il risultato cui Leibniz perviene è che ciò che caratterizza
l’individualità è il fatto di essere completamente, e cioè infinitamente, determinata.
In altre parole Leibniz sostiene che l’individualità è il punto di intersezione unico di
una quantità infinita di determinazioni, il che implica d’altra parte che solo
l’intelligenza infinita di Dio possa risalire dal punto di confluenza a tutte le
condizioni concomitanti. In questa posizione c’è il pericolo che si faccia
dell’individuo un limite irraggiungibile alla comprensione (omne individuum
ineffabile) e che si cada nello scetticismo, una volta ammesso che la realtà è
costituita di individui. Il problema è stato particolarmente dibattuto nelle riflessioni
sulla storia e sulla possibilità della storiografia come scienza. Il concetto leibniziano
dell’individuo come totalmente determinato è stato fatto proprio da Hegel e usato per
designare la totalità stessa del processo dell’idea, lo spirito autocosciente. Nasce
così la paradossale espressione hegeliana di individuo universale, che è riferita
all’unica individualità completa, cioè al processo universale con la totalità delle sue
determinazioni, mentre i singoli momenti del processo sono tutte individualità
incomplete, momenti solo parzialmente autonomi dell’unica realtà. Ma la riflessione
sulla storia porta successivamente la filosofia, dentro e fuori il solco della tradizione
hegeliana, a un ripensamento del concetto di individuo ricollocato nella dimensione
pluralistica, che gli è senza dubbio più congeniale. Lo sforzo di distinguere le «
scienze dello spirito » dalle scienze della natura chiarisce che le prime non
ricercano generalità, leggi di comportamento costante, e che non ha senso costringere
la varietà del mondo umano entro astratte e incomprensive uniformità. La storia è
storia di individui, e il compito della storiografia è quello di rivivere e di
comprendere la molteplice e multiforme individualità. Ma mentre il comprendere è
un’operazione intellettuale, il rivivere, senza il quale la comprensione razionale non
avrebbe oggetto, è una sorta di esperienza interiore particolare e privilegiata, che
consente appunto di attingere l’individualità infinitamente determinata. Dilthey
introduce il concetto di Erlebnis (l’esperienza rivivente) come organo fondamentale
delle scienze dell’uomo e Croce nella dialettica dei distinti fa precedere idealmente
la conoscenza dell’universale, che è il giudizio storico, dall’« intuizione » o
conoscenza dell’individuale, senza la quale il giudizio si ridurrebbe a una vuota
forma senza contenuto. L’Erlebnis e l’ « intuizione » garantiscono la possibilità della
conoscenza storica e sottraggono l’individualità infinitamente determinata al pericolo
dell’ineffabilità.
A partire da Kierkegaard l’individuo, la « categoria del singolo », è uno dei
concettichiave della filosofia dell’esistenza. Qui è in questione l’individualità
dell’uomo, quella singolarità che, a differenza di quanto accade per gli animali, « è
superiore alla sua specie ». L’esistenza è individualità: Kierkegaard scrive nel
Diario che sulla sua pietra tombale vorrebbe incise queste due sole parole: « quel
singolo ».
INDIVIDUAZIONE. La ricerca del principio di individuazione, cioè di ciò che