Page 433 - Dizionario di Filosofia
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sia delle dottrine e dei movimenti politici.

          INDUZIONE.  Il  problema  del  significato  e  della  validità  dell’induzione,  cioè  del
          procedimento  conoscitivo  che  sale  dai  particolari  al  generale,  anche  in  rapporto
          all’opposto  procedimento  deduttivo,  è  già  impostato  chiaramente  in  Aristotele,  il
          quale riconosce solo al sillogismo, cioè alla deduzione, il valore dimostrativo e la

          dignità del rigore scientifico, mentre attribuisce all’induzione una funzione subalterna
          e  un  uso  meramente  pratico  e  strumentale.  Nelle  filosofie  in  cui  viene  meno  la
          visione di un universo organizzato in una gerarchia di forme razionali cade anche la
          fiducia nella possibilità di costruire una scienza puramente deduttiva e acquista di
          conseguenza  un  peso  prevalente  la  ricerca  induttiva. È  per  questa  ragione  che
          nell’antichità  classica  gli  epicurei  furono  i  più  accesi  sostenitori  del  valore
          dell’induzione, conducendo in sua difesa una celebre polemica contro gli stoici. Per
          gli stoici, che non si allontanano su questo punto dalla posizione di Aristotele, un

          giudizio scientifico è veramente tale solo se esso include la consapevolezza delle
          ragioni, o cause, dell’affermata connessione. L’obiezione epicurea si riduce in fondo
          all’asserzione che a garantire la verità basta molto meno, e cioè che non ci siano
          smentite  e  che  non  si  verifichino  casi  in  contrario.  La  debolezza  logica  di
          quest’ultima  posizione  fu  messa  in  rilievo  con  rigorosa  puntualità  dagli  scettici.

          Sesto Empirico ne riassume la posizione critica osservando che o ci si accontenta di
          un’induzione incompleta, cioè fondata su un numero limitato di casi particolari, e
          allora è temerario presumere che non possano verificarsi eventi che smentiscano la
          generalizzazione  operata,  o  si  pretende  di  esaminare  tutti  i  casi  particolari,  di
          procedere  cioè  all’induzione completa.  Quest’ultimo  procedimento  eliminerebbe
          ogni  incertezza,  ma  esso  è  purtroppo  impraticabile,  essendo  la  quantità  dei  casi
          possibili illimitata nello spazio e nel tempo. Quando, agli inizi dell’età moderna, la
          filosofia  cercò  di  individuare  e  di  fondare  il  metodo  della  nuova  scienza  della

          natura, il problema pregiudiziale fu ancora quello della possibilità di un’induzione
          incompleta e tuttavia capace di portare alla scoperta di leggi universali e necessarie.
          Bacone  ritiene  che  l’osservazione  sistematica  delle  connessioni,  accompagnata  da
          caute generalizzazioni successive attraverso la determinazione di livelli di generalità
          mediana,  consenta  di  giungere  alla  scoperta  di  quello  schematismo  latente  della

          natura, che si offre alla scienza umana come il sistema delle forme che essa appunto
          ricerca. Per Galileo l’induzione incompleta trova la sua garanzia nell’individuazione
          di  quella  struttura  matematica  della  realtà  a  cui  la  ricerca  giunge  attraverso  un
          processo di riduzione quantitativa della varietà qualitativa offerta dall’esperienza.
          La « giustificazione » dell’induzione è fondata in un caso e nell’altro su presupposti
          metafìsici non verificabili, anche se va osservato che l’idea galileiana del « libro
          della  natura  scritto  in  caratteri  matematici  »  ha  una  fecondità  operativa

          incomparabilmente maggiore del vetusto armamentario neoplatonico di Bacone. La «
          rivoluzione  copernicana  »,  introdotta  da  Kant  nel  problema  della  conoscenza,
          implica una diversa fondazione della possibilità dell’induzione: nel pensiero di Kant
          l’induzione  incompleta  mette  capo  alla  scoperta  di  uniformità,  la  cui  costanza  è
          garantita dal fatto che la natura è la proiezione delle forme universali dell’intelletto.
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