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sia delle dottrine e dei movimenti politici.
INDUZIONE. Il problema del significato e della validità dell’induzione, cioè del
procedimento conoscitivo che sale dai particolari al generale, anche in rapporto
all’opposto procedimento deduttivo, è già impostato chiaramente in Aristotele, il
quale riconosce solo al sillogismo, cioè alla deduzione, il valore dimostrativo e la
dignità del rigore scientifico, mentre attribuisce all’induzione una funzione subalterna
e un uso meramente pratico e strumentale. Nelle filosofie in cui viene meno la
visione di un universo organizzato in una gerarchia di forme razionali cade anche la
fiducia nella possibilità di costruire una scienza puramente deduttiva e acquista di
conseguenza un peso prevalente la ricerca induttiva. È per questa ragione che
nell’antichità classica gli epicurei furono i più accesi sostenitori del valore
dell’induzione, conducendo in sua difesa una celebre polemica contro gli stoici. Per
gli stoici, che non si allontanano su questo punto dalla posizione di Aristotele, un
giudizio scientifico è veramente tale solo se esso include la consapevolezza delle
ragioni, o cause, dell’affermata connessione. L’obiezione epicurea si riduce in fondo
all’asserzione che a garantire la verità basta molto meno, e cioè che non ci siano
smentite e che non si verifichino casi in contrario. La debolezza logica di
quest’ultima posizione fu messa in rilievo con rigorosa puntualità dagli scettici.
Sesto Empirico ne riassume la posizione critica osservando che o ci si accontenta di
un’induzione incompleta, cioè fondata su un numero limitato di casi particolari, e
allora è temerario presumere che non possano verificarsi eventi che smentiscano la
generalizzazione operata, o si pretende di esaminare tutti i casi particolari, di
procedere cioè all’induzione completa. Quest’ultimo procedimento eliminerebbe
ogni incertezza, ma esso è purtroppo impraticabile, essendo la quantità dei casi
possibili illimitata nello spazio e nel tempo. Quando, agli inizi dell’età moderna, la
filosofia cercò di individuare e di fondare il metodo della nuova scienza della
natura, il problema pregiudiziale fu ancora quello della possibilità di un’induzione
incompleta e tuttavia capace di portare alla scoperta di leggi universali e necessarie.
Bacone ritiene che l’osservazione sistematica delle connessioni, accompagnata da
caute generalizzazioni successive attraverso la determinazione di livelli di generalità
mediana, consenta di giungere alla scoperta di quello schematismo latente della
natura, che si offre alla scienza umana come il sistema delle forme che essa appunto
ricerca. Per Galileo l’induzione incompleta trova la sua garanzia nell’individuazione
di quella struttura matematica della realtà a cui la ricerca giunge attraverso un
processo di riduzione quantitativa della varietà qualitativa offerta dall’esperienza.
La « giustificazione » dell’induzione è fondata in un caso e nell’altro su presupposti
metafìsici non verificabili, anche se va osservato che l’idea galileiana del « libro
della natura scritto in caratteri matematici » ha una fecondità operativa
incomparabilmente maggiore del vetusto armamentario neoplatonico di Bacone. La «
rivoluzione copernicana », introdotta da Kant nel problema della conoscenza,
implica una diversa fondazione della possibilità dell’induzione: nel pensiero di Kant
l’induzione incompleta mette capo alla scoperta di uniformità, la cui costanza è
garantita dal fatto che la natura è la proiezione delle forme universali dell’intelletto.