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Al di là dell’ottimismo della linea idealistico-kantiana, tuttavia, il problema della
giustificazione dell’induzione viene ereditato dalla filosofia e dalla scienza moderne
nella forma datagli da Hume. La generalizzazione operata su un numero limitato di
casi si traduce essenzialmente per la scienza, egli osservava, nella possibilità di fare
previsioni. Il passato diventa regola per il futuro e l’uomo, attraverso alcuni eventi
che fungono da segni, anticipa con sicurezza il verificarsi di altri. Ma tutto questo
presuppone che le cose si comportino sempre allo stesso modo, che si abbiano
sempre gli stessi ordini di successione e che insomma la natura sia uniforme. Ma
l’uniformità della natura, legge generalissima e condizione della validità di tutte le
altre leggi, è un presupposto verificabile, o deve essere accettato acriticamente, con
uno di quegli atti di fede con cui le esigenze pratiche ci impongono talvolta di
tagliare corto nelle questioni insolubili? Hume aveva visto chiaramente che non ha
senso chiedere all’esperienza di garantire l’uniformità della natura, e che un discorso
siffatto è un tipico circolo vizioso: l’esperienza si appoggia sull’uniformità della
natura, la quale a sua volta si fonda sull’esperienza. E tuttavia un indagatore acuto
dei processi conoscitivi come J. Stuart Mill ritenne di poter dimostrare, nella sua
Logica, che il principio dell’uniformità della natura è solo la generalizzazione
induttiva di quelle uniformità particolari che sono espresse nelle varie leggi
scientifiche. Riassumendo, la storia della riflessione filosofica sul concetto di
induzione autorizza a stabilire alcune conclusioni, che sono le seguenti: l’induzione
completa è impossibile; all’induzione incompleta si può attribuire una validità che
vada oltre i casi considerati solo se si ammettono presenti nella natura forme e
strutture permanenti, che si svelano nella loro autonoma verità al termine di ricerche
parziali opportunamente condotte; la struttura che consente di ricavare dall’induzione
anticipazioni sul futuro è quella dell’uniformità della natura.
Lo schema metafisico entro cui quest’ultima nozione è stata di solito inquadrata è
quello deterministico: ogni evento è un effetto prodotto da una causa; alla stessa
causa seguono gli stessi effetti. Nella seconda metà del XIX sec. il determinismo entra
in crisi, sia per raffermarsi, oltre il positivismo, di filosofìe di ispirazione
variamente vitalistica e spiritualistica, sia per la revisione sempre più rigorosa a cui
la scienza viene sottoponendo i suoi fondamenti. In conseguenza di ciò anche
l’induzione perde la sua fisionomia tradizionale di misteriosa scorciatoia per
arrivare alla conquista di verità necessarie e viene prevalentemente intesa come una
tecnica di ricerca di sperimentata funzionalità, che consente di fare generalizzazioni
più o meno attendibili e previsioni dotate di un grado più o meno alto di probabilità.
Particolarmente il neopositivismo logico ha poi insistito sull’assenza di ogni
significato nel problema della validità dell’induzione in generale e sulla necessità
che la vecchia questione logico-metafisica si traduca nell’analisi concreta dei metodi
di inferenza praticati dalle singole scienze.
INERENZA. Rapporto per cui di una data sostanza si predicano determinati attributi.
Aristotele distingueva l’inerenza semplice, che è quella di una determinazione non
necessaria (per es., l’uomo è un animale « bellicoso »), dall’inerenza necessaria,
che è quella propria delle determinazioni che appartengono all’essenza della cosa e