Page 429 - Dizionario di Filosofia
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1915; P. Deussen, Allgemeine Geschichte der Philosophie, vol. l° in tre tomi,
dedicato all’India, Lipsia 1919-1920; S. N. Dasgupta, A history of indian
philosophy, 5 voll., Cambridge 1922-1955; S. Radhakrishnan, Indian philosophy, 2
voll., Londra 1958; D. H. H. Ingalls, Materials for the study of Naya-Naya Logic,
Cambridge (Mass.) 1951; G. Tucci, Storia della filosofia indiana, Bari 1957; R.
Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Torino 1965.
INDIFFERENZA. È detta libertà o libero arbitrio d’indifferenza o semplicemente
arbitrio d’indifferenza, la libertà intesa come assoluta determinabilità della nostra
volontà ad atti opposti, per l’assenza di ogni motivo di preferenza in ciascuno di
essi. Questo concetto della libertà fu tipico della tarda scolastica, che ne derivava il
potere dell’uomo di decidere sia in assenza di qualunque motivo sia in presenza di
motivi assolutamente uguali, sollecitanti la volontà in direzioni opposte. Il pensiero
successivo ha in generale rifiutato questa concezione, che identifica la libertà con la
pura casualità.
INDISCERNIBILI (PRINCIPIO DEGLI). Tesi metafisica già presente nella filosofia stoica,
ma assurta a particolare rilievo nel pensiero di Leibniz, secondo la quale « due cose
individuali non possono essere perfettamente identiche e devono differire fra loro
per qualcosa di più del loro semplice esser due: deve esserci fra loro una differenza
qualitativa, intema, assoluta ». Kant osservò, criticando Leibniz, che in realtà niente
permette di escludere che esistano ne) mondo dei fenomeni due sostanze
perfettamente identiche, le quali d’altra parte sarebbero in ogni caso distinguibili per
la loro diversa collocazione spazio-temporale.
INDIVIDUALISMO. Tendenza all’affermazione di sé, che fa prevalere gli interessi e i
valori individuali su quelli collettivi e l’iniziativa individuale sull’azione
coordinata. È certamente mal posta la questione se sia più naturale per l’uomo
l’atteggiamento individualistico o quello collettivistico. Anche i tipi di condotta
apparentemente più spontanei e più immediati nascono da una sistemazione di valori,
connessa con una certa fase di sviluppo della società. Così è appena il caso di
osservare che l’individualismo classico è tutt’altra cosa dall’individualismo
moderno. Analogamente fra l’eudemonismo delle etiche classiche, secondo il quale
il movente legittimo di ogni azione è la ricerca del bene individuale, e
l’atteggiamento dottrinale dei costituenti americani, che stabilirono solennemente il
diritto di ogni individuo alla « ricerca della propria felicità », la somiglianza è
soltanto verbale: la felicità e i modi di perseguirla hanno nei due casi strutture e
implicazioni molto differenti. Nel secondo è comunque prevalente quella diffidenza
verso l’autorità costituita e la sua pretesa di controllare e di guidare l’individuo, la
quale è alla base di tutto l’individualismo moderno. Le radici dottrinarie di questo
atteggiamento sono nella Riforma, con la sua ribellione all’istituzione ecclesiastica e
con le sue tesi sul « libero esame » e sul rapporto diretto del credente con Dio. Il
rifiuto di Cartesio di riconoscere nell’autorità e nella tradizione una garanzia della
verità e la conseguente funzione esclusiva da lui attribuita al consenso interiore
fondato sull’evidenza sono pure essi fra i fondamenti storici e dottrinali
dell’individualismo moderno. Sul piano delle dottrine politiche la storia