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parlare  di  contenuti  mentali  inconsci  sarebbe  dunque  un  discorso  privo  di  senso.

          Kant osservò al contrario che alcuni stati psichici possono rivelarsi indirettamente,
          senza che questo ci autorizzi a contestare la loro esistenza: il sintomo percepibile
          denuncia  un  fatto,  non  importa  se  questo  sia  a  sua  volta  direttamente  rilevabile  o
          meno. L’inconscio occupa un posto centrale nella metafìsica di Schelling e in quella
          di  Schopenhauer,  la  cui  «  Volontà  »  è  appunto  cieca,  cioè  inconsapevole;  a
          quest’ultimo,  secondo  il  giudizio  di  Thomas  Mann,  va  il  merito  di  aver  colto  il

          carattere universale, germe della malattia e dell’infelicità, dell’inconscio, aprendo la
          via  alla  scoperta  psicologica  (Freud)  di  questa  dimensione.  Alla  posizione  di
          Schelling  si  ricollega  E.  von  Hartmann,  autore  di  una Filosofia  dell’inconscio
          (1869): l’inconscio è per lui la matrice originaria e indifferenziata della realtà, della
          quale  materia  e  spirito  sono  opposte  manifestazioni.  Grande  rilievo  ha  dato
          all’inconscio anche Bergson, specialmente nella sua analisi della memoria.
          La  nozione  di  inconscio  è  entrata  nella  cultura  moderna  soprattutto  attraverso  gli

          scritti di Freud e lo sviluppo della psicoanalisi. Alla base di questa vera e propria
          rivoluzione della scienza dell’uomo sta il presupposto fondamentale che i fenomeni
          coscienti rappresentano una frazione minima della vita psichica (secondo  Freud «
          ciò che è conscio lo è solo per un momento ») e che i sintomi nevrotici sono segni di
          fatti psichici profondi, trattenuti dalla censura al di sotto della coscienza.
          In  ogni  modo  la  separazione  fra  i  tre  sistemi  costituenti  della  vita  psichica:

          coscienza,  preconscio  e  inconscio  non  è  del  tutto  assoluta  né  permanente.  Infatti,
          oltre al preconscio che diventa conscio a volte anche senza la nostra partecipazione,
          anche l’inconscio può essere riportato alla coscienza mediante un nostro sforzo o,
          nella maggior parte dei casi, con l’aiuto delle tecniche proprie alla psicoanalisi. La
          coscienza tende a non riconoscere come proprie le tendenze e gli impulsi istintuali
          che  provengono  dall’inconscio  poiché  contrastano  con  il  mondo  di  valori  etici,
          sociali e culturali che il soggetto ha accettato e soprattutto con l’immagine che di se

          stesso si è costruito. Di qui la necessità di una censura* che rimuova quei contenuti
          che sente inaccettabili o sgraditi.  Questi, costretti a vivere in modo imprecisato e
          oscuro  nell’inconscio,  costituiscono  un’energia  latente  che  condiziona  la  vita
          cosciente, si manifesta solo in maniera indiretta (nei sogni, negli atti mancati, nei
          lapsus,  ecc.)  ed  è  responsabile  di  conflitti  da  cui  possono  nascere  complessi  e

          disfunzioni psichiche in genere. La psicoanalisi prevede tutta una serie di tecniche
          atte a indagare l’inconscio per portarne i contenuti a livello di coscienza vincendo la
          resistenza opposta dall’io.
          D’altro canto ogni atto psichico inizia a livello inconscio e il suo raggiungimento
          della  coscienza  è  condizionato  dal  fatto  che  incontri  o  no  la  resistenza.  L’attività
          psichica inconscia, regolata da leggi ben diverse da quelle dell’attività cosciente, ha
          potuto  essere  conosciuta  grazie  allo  studio  della  genesi  e  dell’interpretazione  del
          sogno in cui i contenuti psichici inconsci si manifestano più liberamente, anche se in

          forma contraffatta e simbolica.
          • Inconscio collettivo, secondo Jung la parte dell’inconscio, ereditabile, comune a
          tutta  una  razza.  Se  ne  distinguono  due  regioni,  di  cui  una  può  diventare  cosciente
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