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riaffermò nel 5° Concilio lateranense (1513).

          Quanto alle prove dell’immortalità dell’anima, già nel Fedone* di Platone si trova
          una  celebre  serie  di  argomenti,  ricavati  probabilmente  in  parte  dalla  tradizione.
          Schematizzando  si  possono  distinguere  le  prove  dell’immortalità  dell’anima  in
          metafisiche  e  morali.  L’argomento  di  Cartesio,  che  ricava  l’immortalità  dall’unità
          dell’anima,  è  una  prova  metafisica,  come  quelle  fondate  sulla  semplicità,  sulla
          sostanzialità,  sul  carattere  di  principio  di  movimento  e  su  altri  analoghi  attributi

          dell’anima. Kant ha invece formulato una prova morale, movendo dal presupposto
          che ogni volontà desideri come termine ultimo dei suoi sforzi il raggiungimento di
          una perfetta adeguazione di se stessa alla legge morale. Questa perfetta conformità,
          che Kant chiama « santità », è però conseguibile solo in un processo infinito, che si
          sviluppa in un tempo infinito: bisogna dunque ammettere l’immortalità dell’anima, se
          si vuole dare un senso alla vita morale. Questo è uno dei tre « postulati della ragione
          pratica  »,  per  usare  la  terminologia  kantiana.  (Gli  altri  due  sono  la  libertà  e

          l’esistenza di Dio.) [V. anche ANIMA.]
          IMMUTABILITÀ.  L’affermazione  dell’immobilità  e  immutabilità  dell’Essere  è  il
          principio fondamentale della filosofia di Parmenide, insieme con quello correlativo
          del  carattere  apparente  di  ogni  specie  di  mutamento.  Platone  attribuisce

          l’immutabilità alle Idee, modelli eterni, perfetti e incorruttibili. Per Aristotele Dio è
          i l motore  immobile  dell’universo.  Anche  l’Uno  di  Plotino,  che  trascende
          infinitamente tutta la realtà che da lui emana, non è suscettibile di alcun mutamento
          nella sua assoluta perfezione.  La teologia cristiana sostiene l’immutabilità di  Dio,
          insistendo però, in opposizione alla metafisica greca, sulla misteriosa compatibilità
          dell’attività e della fecondità creatrice con l’immutabilità.

          IMPEGNO. Questo termine, assai frequente nella cultura contemporanea, designa un
          atteggiamento che è di tutti i tempi.
          Esso  consiste  nel  prendere  partito  apertamente  e  nell’assumere  tutti  i  rischi  della
          scelta  da  parte  dell’uomo  in  genere,  e  dell’uomo  di  cultura  in  particolare,
          inevitabilmente chiamato in causa dai grandi conflitti politici, sociali e ideologici
          del suo tempo. In questo senso si può parlare dell’impegno di Antigone, che prende

          partito in favore delle sacre leggi non scritte contro gli ordini disumani di Creonte;
          dell’impegno  di  Voltaire,  che  difende  la  tolleranza  religiosa  e  combatte  contro  le
          persecuzioni  mostruose  a  cui  viene  sottoposta  la  famiglia  protestante  dei  Calas;
          dell’impegno dei poeti e degli intellettuali italiani del Risorgimento; ecc. Tuttavia la
          problematica  dell’impegno  ha  assunto  una  particolare  rilevanza  nel  secondo
          dopoguerra, soprattutto nel clima della polemica condotta dalla cultura di ispirazione
          marxistica contro gli intellettuali che, sotto la dittatura fascista, avevano pagato la

          propria  sopravvivenza  come  tali  coltivando  interessi  sempre  più  specialistici  e
          innocui.  Il  filosofo  francese  J.-P.  Sartre  ha  tenuto  una  posizione  di  avanguardia
          nell’agitare  la  necessità  dell’impegno  degli  intellettuali,  in  conformità  ai  principi
          della sua metafìsica esistenziale, secondo i quali l’uomo è sempre « impegnato » nel
          mondo  e  nella  società,  condannato  com’è  ad  essere  libero  e  a  scegliere
          continuamente, giacché « esistere è scegliersi ».
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