Page 418 - Dizionario di Filosofia
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La genesi dell’illuminismo va ricercata essenzialmente nella filosofia cartesiana con
la sua critica all’autorità e alla tradizione e nella tradizione dei liberi pensatori e dei
deisti, con l’avvertenza che gli illuministi apprezzarono per così dire solo la pars
destruens del pensiero cartesiano, mentre considerarono arbitrarie e fantastiche la
fisica e la metafisica fondate su quella. Quasi senza riserve essi accolsero invece i
risultati della filosofia di Locke e dell’empirismo inglese per lo spirito decisamente
antimetafisico e per la riduzione di tutto il conoscere ai dati dell’esperienza.
Se mai l’illuminismo propendeva per le semplificazioni più radicali e il sensismo*
di Condillac era considerato un inveramento dell’empirismo tradizionale proprio
perché esso mostrava la derivazione dalle sensazioni delle cosiddette facoltà
dell’anima e della stessa coscienza. Ma fu soprattutto la scienza della natura, in
particolare con il modello costituito dalla fìsica di Newton, che diede il tono «
filosofico » al secolo: essa indicò da un lato con l’esempio persuasivo dei suoi
successi quale doveva essere il metodo da usare in ogni tipo di ricerca e dall’altro
esigette, per il rigore specialistico del suo linguaggio, un particolare impegno
nell’opera di divulgazione e di diffusione.
Il distacco dalla tradizione tuttavia è particolarmente evidente nella ricerca dei
fondamenti della morale e della religione. Per quest’ultima venne raccolta l’eredità
dei « liberi pensatori », che da Toland in poi avevano sostenuto il carattere naturale
della religione, al di là delle sue vesti mitologiche e dei suoi irrigidimenti
confessionali. Per la prima ci si ispirò invece alle dottrine dei moralisti che si erano
adoperati per liberare l’etica dalla soggezione alla teologia, sia postulando
l’esistenza al fondo dell’uomo di un naturale « sentimento » di amore, come aveva
fatto lo Shaftesbury, sia rivendicando la dimensione morale dell’interesse « bene
inteso », secondo la linea comune alle varie versioni dell’utilitarismo*. Ma anche in
quei pensatori, come il La Mettrie e il d’Holbach, che volsero decisamente a
conclusioni materialistiche e atee, permasero almeno due atteggiamenti di tipo
religioso: l’idea della doverosità dell’illuminazione altrui e del proselitismo e la
fede escatologica nell’avvento definitivo di un’era nuova, nella quale la ragione
trionfante avrebbe reso finalmente umana la vita degli uomini. Solo verso la fine del
secolo Condorcet propose la meno ingenua prospettiva di un progresso ad infinitum,
realizzato attraverso la trionfante, ma pur drammatica e faticosa, « marcia dello
spirito umano ».
Tutta la cultura europea risentì beneficamente dell’influenza dell’illuminismo, che
segnò un nuovo orientamento culturale specialmente in Italia e in Germania, dove fu
designato con il termine di Aufklärung. In Italia la penetrazione delle nuove idee
ebbe l’effetto di sbloccare una cultura provinciale, accademica e salottiera e costituì
la premessa di un profondo rinnovamento. I due centri più vitali dell’illuminismo
italiano furono Milano e Napoli. Nella prima città le riforme economiche e
amministrative del governo austriaco e nella seconda la politica anticuriale e
antifeudale della monarchia borbonica stimolarono positivamente la nuova cultura e
al tempo stesso furono da questa orientate e condizionate. Fra i rappresentanti più
notevoli della nuova filosofia nel nostro paese vanno ricordati i fratelli Verri,