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Essere soggetto significa esistere in quanto trascendenza », dice Heidegger. Da una
posizione di realismo critico Santayana afferma crudamente che « il soggetto non
esiste ». E per Dewey la soggettività è solo un termine troppo carico di implicazioni
metafisiche, per designare un organismo impegnato in operazioni di ricerca
controllata.
IDEALREALISMO. Termine usato da Schelling (Ideal-Realismus) per caratterizzare la
propria posizione filosofica, in quanto distinta sia dall’idealismo soggettivo sia dal
realismo dogmatico. Il termine è altresì usato da alcuni storici della filosofia per
designare il tratto essenziale di tutte le forme antiche e nuove di platonismo, vale a
dire la nozione della realtà oggettiva delle idee.
IDENTICO. Nella logica tradizionale, si dice di proposizione nella quale il predicato
è esplicitamente o implicitamente identico al soggetto (per es.: « Il triangolo è un
poligono di tre lati ». « Quello che è detto è detto »). [V. TAUTOLOGIA.]
IDENTITÀ. La nozione di identità (che si enuncia simbolicamente con la formula A è
A, o anche asserendo che ciò che è è) venne elevata solo dalla tarda scolastica a
legge fondamentale del pensiero, alla quale spetterebbe anzi una posizione
preliminare rispetto al più antico principio di non contraddizione*. Essa si riduce
peraltro, se la si considera nel suo puro significato logico-formale, al
riconoscimento generico che tutte le proposizioni identiche sono vere: il pane è il
pane, la rosa è la rosa, e via dicendo. In questo senso la sua effettiva significanza
appare dubbia, potendosi contestare oltre tutto che le proposizioni identiche siano
vere e proprie tautologie. La logica moderna non riconosce in genere più nel
principio di identità una legge fondamentale del pensiero, dignità che del resto non
gli era attribuita nemmeno dalla logica greca. A guardar bene la formula A è A ha
senso come regola per l’uso dei simboli, e meglio ancora come norma di lealtà fra i
parlanti ai fini del reciproco intendimento.
La nozione dell’identità come condizione ultima di ogni necessità logica ha tuttavia
una illustre tradizione. Per Leibniz l’identità è la forma delle verità di ragione come
la ragione sufficiente lo è per le verità di fatto. Analogamente alcuni filosofi della
scienza della seconda metà del XIX sec., sotto l’influenza di una interpretazione
esclusivamente formalistica del pensiero matematico, concepirono l’identità come
una specie di limite, a cui tendono, attraverso una progressiva riduzione delle
differenze qualitative fra i fenomeni, le leggi scientifiche. L’identità è il modello di
ogni necessità e ogni procedimento razionale è una identificazione del diverso.
È questa la concezione di Meyerson e di Boutroux, nel quale ultimo tuttavia la
dimostrazione della resistenza della realtà al processo di identificazione implica
come conseguenza l’attenuazione del carattere di necessità delle leggi scientifiche e
la riscoperta della libertà nella natura. In Leibniz ed in Meyerson d’altra parte
l’identità non è più solo un principio logico-gnoseologico, ma è in primo luogo un
concetto metafisico: la necessità della conoscenza si fonda sulla identità proprio
perché la realtà è « identica ». In questo senso la nozione di identità caratterizza le
metafisiche dell’immobilità, delle quali l’eleatismo è considerato la formulazione
più antica e più suggestiva. Si comprende allora perché le filosofie che