Page 412 - Dizionario di Filosofia
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conoscenza sensibile e l’esigenza di conferire al reale quei caratteri di stabilità e di

          universalità,  dei  quali  il  mondo  sensibile  non  pare  in  alcun  modo  partecipe,
          conducono alla postulazione di un universo ideale rivelato dalla ragione, dal quale
          fra  l’altro  l’incertezza,  la  precarietà  e  la  morte  possono  essere  del  tutto  bandite.
          L’idealismo di Platone considera il mondo sensibile come un tessuto di apparenze
          ingannevoli, di ombre, che l’uomo non iniziato scambia a torto per oggetti reali (mito
          della caverna*). Noi conosciamo questa realtà mutevole per mezzo dei sensi, o anche

          per  sentito  dire,  dal  che  nascono  opinioni  non  meno  ingannevoli.  Anche  i
          ragionamenti  che  noi  costruiamo  per  comprendere  il  mondo  oggettivo  possono
          fuorviarci, come hanno dimostrato le analisi dei sofisti. Il mondo attestato da queste
          vie non ha dunque alcuna realtà. L’universo sensibile non è, ovvero, se è, è solo un
          riflesso, un’ombra. Ma quella realtà di cui esso è ombra e riflesso è, anzi è l’essere
          stesso.  L’essere sono le idee, modelli perfetti e divini, di cui gli oggetti sensibili
          sono solo imperfette imitazioni.  Il mondo intelligibile formato dalle idee, modelli

          eterni di tutte le cose (il bello in sé, il bene in sé, la grandezza in sé, la piccolezza in
          sé,  ecc.),  è  il  solo  mondo  reale.  L’idealismo  di  Platone,  negazione  del  mondo
          sensibile,  ha  come  contropartita  il  suo realismo  delle  idee,  cioè  l’affermazione
          dell’esistenza  oggettiva  del  mondo  intelligibile.  A  seconda  del  senso  che  si
          conferisce al termine idealismo Platone può essere collocato tanto fra gli idealisti
          quanto fra i realisti, perché egli non nega la esistenza di una realtà oggettiva, ma si

          rifiuta solo di identificarla col mondo attestato dalla conoscenza sensibile Quando
          nel XVII sec. entrò nel linguaggio filosofico l’uso della parola idealismo, questa fu
          appunto usata per designare la filosofia platonica e tutte quelle posizioni di pensiero
          che avevano in comune con essa l’ipotesi del carattere ideale della realtà.  Già in
          Wolff  tuttavia  il  termine  acquista  il  significato,  che  poi  diverrà  prevalente,  di
          dottrina  che  identifica  l’esistenza  delle  cose  con  la  loro  rappresentazione  in  un
          soggetto e nega quindi la possibilità di un’esistenza oggettiva fuori della coscienza.

          Kant chiama idealismo problematico quello che si limita a dichiarare indimostrabile
          l’esistenza di un mondo al di là della rappresentazione, mentre dogmatico è per lui
          l’idealismo  che  considera  assurdo  e  contraddittorio  il  concetto  di  realtà
          extrasoggettiva. Un tipico caso di idealismo problematico è quello rappresentato da
          Cartesio.  Movendo  da  una  critica  del  senso,  dell’immaginazione  e  del  giudizio

          piuttosto tradizionale, Cartesio fonda il suo idealismo sul « dubbio metodico ». Egli
          dubita di tutto, con lo scopo di liberarsi da ogni possibile pregiudizio e di giungere
          così  al  possesso  di  una  certezza  assoluta.  Il  dubbio  metodico  conduce  Cartesio  a
          individuare una sola realtà che sfugge al dubbio, e cioè il dubbio stesso, o meglio il
          fatto che egli stia dubitando. Il suo pensiero gli appare dunque, una volta spinto il
          dubbio metodico al limite estremo, il solo essere indubitabile: « Penso, dunque sono
          ».  Se  si  fosse  arrestato a  questo  punto,  Cartesio  avrebbe  assunto  la  posizione
          idealistica più radicale e più coerente nella sua paradossalità: l’essere non è reale,

          reale è solo la singola autocoscienza. È quello che si chiama idealismo soggettivo, o
          anche solipsismo, se si vuole accentuare l’isolamento e la non comunicazione del
          soggetto con altri possibili centri di coscienza. Ma il Cogito non è un punto di arrivo
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