Page 427 - Dizionario di Filosofia
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discrezione all’irrazionale.
Bibliogr.: P. Jordan, Anschauliche Quantentheorie, Berlino 1936; E. Cassirer,
Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna (1936), Firenze 1971; G.
Ludwig, Die Grundlagen der Quantenmechanik, Berlino 1954; A. Landé,
Foundation of quantum theory, New Haven 1955; Aa. Vv., Turning points in
physics, Amsterdam 1959; M. Bunge, Causality, the place of the causal principle in
modern science, Cambridge (Mass.) 1959 (trad. it.: Torino 1970); K. Popper, The
logic of scientific discovery, London 1968; E. Agazzi, Temi e problemi di filosofia
della fisica, Milano 1969.
INDIANA (FILOSOFIA). L’India ha elaborato una concezione mitologica
dell’evoluzione del pensiero umano prima della storia. In un remotissimo passato,
grandi saggi, i « lontani antenati », ebbero una visione totale e completa della verità,
sia nella sua essenza sia nella molteplicità delle sue manifestazioni. Più tardi, i
cantori (rsi) fissarono quella visione, o quella che n’era rimasta, negli inni dei
Veda* il cui testo, che in sé è considerato anteriore alla storia umana, è stato
trasmesso con minuziosa fedeltà. Tutti i pensatori, in epoca storica, hanno affermato
energicamente che nulla può né infirmare né completare quella saggezza primitiva e
che la conferma data dagli inni è il criterio necessario e sufficiente della verità di
qualsiasi sistema filosofico. Tuttavia questo atteggiamento non ha impedito il sorgere
di molte teorie anche assai contraddittorie nella loro apparenza. Questo processo
trova due spiegazioni: innanzi tutto il pensiero indiano ammette che l’Assoluto, la
Verità suprema, supera di tanto le possibilità intellettive ed espressive umane che se
ne possono dare innumerevoli descrizioni ugualmente valide nei propri limiti,
divergenti ma esatte, dato che ciascuna di queste non può essere se non parziale, e
che esse si completano vicendevolmente. In secondo luogo, la Verità colta ed
esposta (o, con altre parole, la dottrina trasmessa) da qualcun altro ha sempre e solo
un valore indicativo, perché l’essenziale è che ognuno ne faccia l’esperienza
personale. Ne consegue che per gli Indiani ogni sistema filosofico non è, in realtà,
che un cammino che conduce a questa visione, una « ricetta » per raggiungere
individualmente il contatto con la verità. Perciò le controversie, che pure spesso
sono state accese e vivaci, tra le varie scuole non hanno toccato altro problema che
quello pratico, quello cioè dell’efficacia dei metodi proposti.
L’evoluzione della filosofia indiana è caratterizzata da una progressiva
intellettualizzazione, processo che gli Indiani stessi fanno risalire al fatto che l’uomo,
sempre meno capace di uno sforzo spirituale, ha dovuto in misura crescente
appoggiarsi sulla ragione. Mentre agli inizi erano sufficiente strumento di
trasmissione alcune semplici invocazioni (mantra), apparentemente senza legame fra
di loro, successivamente si dovette ricorrere a una sorta di parabole ermetiche
(Upanisad), a procedimenti rituali (Brāhmana), a tecniche che impegnano il corpo
(yoga), a elaborazioni mitologiche dei fatti umani (Purāna) e, infine, a esposizioni
più o meno sistematiche. Queste ultime, ai nostri occhi, rappresentano il più alto
vertice della logica indiana e si raggruppano, generalmente, in sei « punti di vista »
(darśana) : mīmāmsā, nyāya, vedānta, yoga, sānkhya e vaiśesika, i quali sono