Page 370 - Dizionario di Filosofia
P. 370
Bibliogr.: Questioni inedite sulla conoscenza, a cura di A. Franzinelli, « Rivista
critica di storia della filosofia », 1958; su G. d. M.: A. Birkenmajer, Ein
Rechtfertigungsschreiben J. von Mirecourt, « Beiträge », Münster, 1922; K.
Michalski, Les courants philosophiques à Oxford et à Paris pendant le XIV siècle,
« Bulletin de l’Académie polonaise de sciences et lettres », Cracovia 1920.
GIOVANNI di Salisbury, vescovo di Chartres, filosofo, storico e umanista inglese
(Salisbury 1115 circa – Chartres 1180). Educato in Francia, fu allievo di Abelardo a
Parigi, poi a Chartres. Tornato in Inghilterra (1150), divenne segretario
dell’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, e del suo successore, Tommaso Becket.
Dopo l’assassinio di quest’ultimo, si stabilì definitivamente in Francia. Tenne il
vescovado di Chartres dal 1176 fino alla morte. Figura di rilievo nella cultura del XII
sec., fu elegante scrittore in prosa e in versi. Ha lasciato una Vita di san Tommaso
Becket e una di sant’Anselmo, il Polycraticus, satira dei costumi del tempo, il
Metalogicon e l’Entheticus, contro i falsi filosofi, e una Historia Pontificalis
(1148-1152).
GIUDIZIO. La facoltà di valutare (vis aestimativa) la realtà secondo i vari punti di
vista possibili (logico, morale, estetico, politico, ecc.). • In logica, la funzione che
connette un soggetto ad un predicato.
La possibilità logica del giudizio, e cioè la legittimità della connessione di due
concetti mediante il rapporto della predicazione, fu ampiamente discussa nella
filosofia greca classica, da Parmenide, a Platone, ad Aristotele, il quale ultimo fornì
nel Dell’interpretazione una trattazione del giudizio rimasta classica. Per Aristotele
col giudizio nasce il pensiero discorsivo, suscettibile di qualificarsi come vero o
come falso, mentre l’intuizione di un singolo contenuto mentale (noema) è ancora al
di qua di tale qualificazione. La distinzione del giudizio così inteso dalla
proposizione esprimente una semplice affermazione di esistenza (l’uomo è) è uno dei
punti problematici della teoria aristotelica e delle successive ricerche logiche, che a
essa si richiamano. Kant ereditò dalla scuola leibniziana una dottrina di giudizio
come sintesi di concetti, che è formalmente ancora quella aristotelica. Entro tale
ambito va collocata la sua distinzione dei giudizi analitici da quelli sintetici,
movendo dalla quale la critica della ragione può essere concepita come ricerca della
possibilità di giudizi sintetici a priori. Kant trattò anche, nella Critica del giudizio,
del cosiddetto giudizio riflettente, distinguendolo nelle due forme del giudizio
estetico e del giudizio teleologico. Per Hegel nel giudizio si manifesta quella unità
di individuale e di universale che è la chiave di volta della concezione idealistica
della realtà: donde la formula apparentemente paradossale dell’Enciclopedia,
secondo la quale « tutte le cose sono un giudizio ». Su questa linea si collocano
anche, pur con le loro caratteristiche peculiari, la riduzione crociana di tutti i giudizi
a giudizi individuali o storici e la concezione gentiliana del superamento del
giudizio, come momento del « logo astratto », in quel giudizio vivente e concreto che
è l’atto del pensiero. La logica formale moderna per designare ciò che
tradizionalmente veniva chiamato giudizio preferisce il termine proposizione, meno
carico di implicazioni psicologiche e valutative.