Page 369 - Dizionario di Filosofia
P. 369

novembre dello stesso anno, lasciò l’abito talare e si recò a Milano, dove divenne «

          redattore  »  del  consiglio  dei  Juniori.  L’esperienza  diretta  dei  metodi  di  governo
          applicati dal Direttorio nella Cisalpina e la delusione di Campoformio mutarono il
          Gioia in un critico risoluto della politica francese in Italia; egli diede così voce a
          queste  sue  preoccupazioni  in  una  serie  di  giornali  subito  stroncati  dalla  censura
          (Monitore italiano, fondato con il Foscolo, 20 gennaio-30 aprile 1798; Il Censore,
          22  agosto-6  settembre  1798; Gazzetta  nazionale  della  Cisalpina,  24  gennaio13

          febbraio 1799; Giornale filosoficopolitico, 18 febbraio-4 aprile 1799). Nell’aprile
          1801 fu nominato « istoriografo della Repubblica Cisalpina », e si dedicò a studi di
          economia  e  statistica.  Crollato  il  dominio  napoleonico.  Gioia  elaborò  negli  anni
          della  Restaurazione  le  sue  opere  maggiori:  il Nuovo  prospetto  delle  scienze
          economiche  (1815-1817),  il  trattato  di  morale  sociale Del  merito  e  delle
          ricompense (1818-1819), il lavoro Sulle manifatture nazionali (1819), l’Ideologia
          (1822)  e  la Filosofia  della  statistica  (1826).  Il  Gioia  come  filosofo  è  il

          rappresentante  forse  più  importante  dell’ideologia  e  dell’utilitarismo  nella  cultura
          italiana  (il  suo  è  un  sensismo  temperato  dalla  funzione  assegnata  all’attività
          dell’intelletto), e un posto di rilievo nella storia del pensiero economico italiano.
          Bibliogr.:  Opere  minori,  17  voll.,  Lugano  1832-1839;  F.  Momigliano, Un

          pubblicista, economista e filosofo del periodo napoleonico, « Rivista di filosofia »,
          1903-1904; A. Macchioro, L’economia politica di M. Gioia, « Studi storici », 1963;
          P. Barucci, Il pensiero economico di M. Gioia, Milano 1965.
          GIOVANNI di Jandun, teologo e filosofo francese (Jandun, Ardenne, 1280 circa –
          Todi  1328). Magister  artium  all’università  di  Parigi,  di  tendenze  averroistiche,

          collaborò  con  Marsilio  da  Padova,  di  cui  era  amico,  al Defensor pacis*  (1324),
          diretto  contro  Giovanni  XXII.  Scomunicato  dal  pontefice,  si  rifugiò  alla  corte  di
          Ludovico il Bavaro (1327).
          Bibliogr.:  E.  Gilson, Études  de  philosophie  médiévale,  Parigi  1921;  A.  Maurer,

          John  of  Jandun  and  the  divine  causality,  «  Mediaeval  studies  »,  1955;  L.
          Thorndike, Jean de Jandun on gravitation, « Journal of the history of ideas », 1958;
          A.  Pacchi, Note sul commento al  « De anima  » di Giovanni di Jandun, « Rivista
          critica di storia della filosofia », 1958 e 1959.

          GIOVANNI  di  Mirecourt,  in  lat. de  Mirecuria,  filosofo  scolastico  francese  (XIV
          sec.). Appartenne all’ordine cisterciense e fu perciò chiamato dai contemporanei il «
          monaco  bianco  »  (monachus  albus).  Nel  1347  fu  costretto  a  ripudiare  quaranta
          proposizioni,  estratte  dal  suo  commento  al Liber  sententiarum  e  condannate  da
          Roberto de’ Bardi, cancelliere dell’università di Parigi. Si trattava in genere di tesi
          occamistiche estreme: la volontà (velle effìcax) divina determina tutti i cosiddetti
          futuri  contingenti;  anche  i  peccati  degli  uomini  sono  voluti  da  Dio;  la  salvezza

          dell’anima non dipende in nessun modo dall’esercizio della carità; la sola fonte della
          certezza sono le sensazioni; niente vieta di pensare che  Dio nella sua onnipotenza
          susciti  in  tutti  gli  uomini  sensazioni  illusorie  e  che  tutta  la  realtà  sia  perciò  solo
          un’apparenza ingannatrice.
   364   365   366   367   368   369   370   371   372   373   374