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novembre dello stesso anno, lasciò l’abito talare e si recò a Milano, dove divenne «
redattore » del consiglio dei Juniori. L’esperienza diretta dei metodi di governo
applicati dal Direttorio nella Cisalpina e la delusione di Campoformio mutarono il
Gioia in un critico risoluto della politica francese in Italia; egli diede così voce a
queste sue preoccupazioni in una serie di giornali subito stroncati dalla censura
(Monitore italiano, fondato con il Foscolo, 20 gennaio-30 aprile 1798; Il Censore,
22 agosto-6 settembre 1798; Gazzetta nazionale della Cisalpina, 24 gennaio13
febbraio 1799; Giornale filosoficopolitico, 18 febbraio-4 aprile 1799). Nell’aprile
1801 fu nominato « istoriografo della Repubblica Cisalpina », e si dedicò a studi di
economia e statistica. Crollato il dominio napoleonico. Gioia elaborò negli anni
della Restaurazione le sue opere maggiori: il Nuovo prospetto delle scienze
economiche (1815-1817), il trattato di morale sociale Del merito e delle
ricompense (1818-1819), il lavoro Sulle manifatture nazionali (1819), l’Ideologia
(1822) e la Filosofia della statistica (1826). Il Gioia come filosofo è il
rappresentante forse più importante dell’ideologia e dell’utilitarismo nella cultura
italiana (il suo è un sensismo temperato dalla funzione assegnata all’attività
dell’intelletto), e un posto di rilievo nella storia del pensiero economico italiano.
Bibliogr.: Opere minori, 17 voll., Lugano 1832-1839; F. Momigliano, Un
pubblicista, economista e filosofo del periodo napoleonico, « Rivista di filosofia »,
1903-1904; A. Macchioro, L’economia politica di M. Gioia, « Studi storici », 1963;
P. Barucci, Il pensiero economico di M. Gioia, Milano 1965.
GIOVANNI di Jandun, teologo e filosofo francese (Jandun, Ardenne, 1280 circa –
Todi 1328). Magister artium all’università di Parigi, di tendenze averroistiche,
collaborò con Marsilio da Padova, di cui era amico, al Defensor pacis* (1324),
diretto contro Giovanni XXII. Scomunicato dal pontefice, si rifugiò alla corte di
Ludovico il Bavaro (1327).
Bibliogr.: E. Gilson, Études de philosophie médiévale, Parigi 1921; A. Maurer,
John of Jandun and the divine causality, « Mediaeval studies », 1955; L.
Thorndike, Jean de Jandun on gravitation, « Journal of the history of ideas », 1958;
A. Pacchi, Note sul commento al « De anima » di Giovanni di Jandun, « Rivista
critica di storia della filosofia », 1958 e 1959.
GIOVANNI di Mirecourt, in lat. de Mirecuria, filosofo scolastico francese (XIV
sec.). Appartenne all’ordine cisterciense e fu perciò chiamato dai contemporanei il «
monaco bianco » (monachus albus). Nel 1347 fu costretto a ripudiare quaranta
proposizioni, estratte dal suo commento al Liber sententiarum e condannate da
Roberto de’ Bardi, cancelliere dell’università di Parigi. Si trattava in genere di tesi
occamistiche estreme: la volontà (velle effìcax) divina determina tutti i cosiddetti
futuri contingenti; anche i peccati degli uomini sono voluti da Dio; la salvezza
dell’anima non dipende in nessun modo dall’esercizio della carità; la sola fonte della
certezza sono le sensazioni; niente vieta di pensare che Dio nella sua onnipotenza
susciti in tutti gli uomini sensazioni illusorie e che tutta la realtà sia perciò solo
un’apparenza ingannatrice.