Page 368 - Dizionario di Filosofia
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1912; Nuova protologia, a cura di  G.  Gentile, 2 voll.,  Bari 1912; Scritti scelti, a

          cura  di  A.  Guzzo,  Torino  1965;  su  G.:  B.  Spaventa, La  filosofia  di  V.  Gioberti,
          Napoli 1863; L. Stefanini, Gioberti, Milano 1947; A, Omodeo, V. Gioberti e la sua
          evoluzione  politica,  Torino  1941;  U.  Redanò, V.  Gioberti,  Torino  1958;  G.  De
          Crescenzo, La fortuna di Gioberti nel mezzogiorno d’Italia, Brescia 1964.

          GIOCO. L’attività del gioco è diventata oggetto di interesse da parte di molti studiosi
          (filosofi,  psicologi,  pedagogisti)  soprattutto  per  merito  di  Schiller,  che  nelle  sue
          Lettere sull’educazione estetica (1795) considerava l’istinto del gioco (Spieltrieb)
          come  il  fondamento  dell’attività  artistica,  e  del  Fröbel,  che  nell’Educazione
          dell’uomo  (1826)  indicava  nel  gioco  l’attività  propria  del  fanciullo,  «  il  più  alto
          grado dello svolgimento infantile », « il prodotto più puro e spirituale dell’uomo nel
          periodo dell’infanzia ». In psicologia, particolare importanza hanno ancor oggi gli
          studi  di  Karl  Groos,  autore  di  due  opere  fondamentali  su I  giochi  degli  animali

          (1896) e su I giochi degli uomini (1899).
          Sulla  natura  e  il  significato  del  gioco  sono  state  enunciate  molteplici  teorie.
          Tradizionalmente il gioco veniva interpretato come svago e ricreazione, come riposo
          dal  lavoro  o  da  altre  attività  più  impegnative;  ma  si  è  notato  che  i  bambini  e  gli
          animali giocano indipendentemente dalla fatica, si stancano giocando e quando sono

          stanchi  smettono  di  giocare.  Si  è  proposto  quindi  di  considerare  il  gioco  come
          sprigionamento di energie esuberanti (Spencer), come residuo di tendenze ataviche,
          ossia come riproduzione di attività primitive (Stanley Hall), come catarsi che libera
          da tendenze inaccettabili e da istinti antisociali (gli psicoanalisti), come esercizio
          preparatorio  alla  vita  (Groos),  ecc.  Ciascuna  di  queste  teorie  è  petò  parziale,  in
          quanto non riesce a spiegare ogni genere di attività ludica.
          Maggiore importanza hanno le classificazioni dei vari tipi di gioco, anche ai fini di
          una loro valutazione e utilizzazione in funzione educativa. Secondo il Claparède, che

          ha  ripreso  e  completato  la  classificazione  del  Groos,  si  distinguono  due  gruppi
          fondamentali: giochi che preparano a funzioni generali della vita psichica (giochi
          sensoriali,  motori,  intellettuali,  affettivi,  esercizi  di  volontà)  e  giochi  che
          corrispondono a funzioni speciali (giochi di lotta, di caccia, giochi sociali, ecc.).

          Bibliogr.: G. A. Colozza, Il gioco nella psicologia e nella pedagogia, Torino 1910;
          J.  Piaget, La  formation  du  symbole  chez  l‘enfant,  Neuchâtel  1945;  J.  Huizinga,
          Homo ludens, Torino 1946; H. Zulliger, Gioco e fanciulli, psicoterapia del gioco,
          Firenze 1955.
          GIOIA (Melchiorre), economista italiano (Piacenza 1767 - Milano 1829). Studiò nel

          collegio ecclesiastico Alberoni, accostandosi ai problemi filosofici (influirono su di
          lui soprattutto Locke e il sensismo del Condillac). Compose una memoria che risultò
          vincitrice del celebre concorso bandito nel 1796 dalla Società di pubblica istruzione
          di  Milano  sul  tema  «  Quale  dei  governi  liberi  meglio  convenga  alla  felicità
          dell’Italia  »  (in  essa  sosteneva  la  tesi  di  un’Italia  unita  e  repubblicana,  retta  da

          istituzioni  temperatamente  democratiche,  da  realizzare  senza  sconvolgimenti
          violenti).
          Fu arrestato il 17 marzo 1797; liberato, anche per le pressioni di  Napoleone, nel
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