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specifica. (Nella definizione dell’uomo come « animale ragionevole », « animale »
indica il genere e « ragionevole » la specie.)
Il genere è più esteso della specie ed è determinato dalle note comuni a un certo
gruppo di specie. I Lombardi, i Piemontesi, i Siciliani sono specie del genere
Italiani. Gli Italiani, i Francesi, gli Inglesi sono a loro volta specie del genere
Europei. Si costituisce così una gerarchia di classi di estensione* crescente e di
comprensione* decrescente. Ogni genere diventa in questa struttura piramidale
specie di un genere più ampio. Il genere immediatamente successivo alla specie
veniva chiamato appunto genere prossimo. Questa concezione gerarchica postulava
naturalmente nell’aristotelismo l’esigenza di un genere sommo, che non potesse per
ciò stesso porsi come specie di un genere ulteriore. L’idea dell’essere*, nella sua
onnicomprensiva indeterminatezza, sembrava occupare di diritto quella posizione.
Per la verità la nozione di genere trova oggi uso solo nelle classificazioni della
zoologia e della botanica, per quel tanto di funzione organizzativa e strumentale che
la scienza è ancora disposta a riconoscerle. Nella logica moderna genere (con il
correlativo specie) non è più usato ed è stato completamente sostituito dal più duttile
e rigoroso concetto di classe.
GENIO. Il termine indicò, a partire dalla seconda metà del XVII sec., la capacità di
inventare e, al tempo stesso, designò l’uomo dotato in misura eminente di tale
capacità. Nel XVIII sec. si verificò una determinazione restrittiva dell’ambito di
significato, nel senso che la capacità inventiva del genio venne attribuita soltanto, o
prevalentemente, al creatore di opere d’arte. Questa nozione passò in Kant e nella
filosofia romantica tedesca, nella quale peraltro sullo stesso piano dell’artista venne
spesso collocato anche il filosofo. Nella concezione della filosofia romantica il
genio fu una sorta di mediatore fra l’infinito e il mondo, un « portatore » dell’infinito
nella storia, il che spiega la sua forza creativa, in qualche misura non umana. Questa
eccezionalità della condizione del genio giustifica d’altro canto l’irregolarità della
sua condotta, che spesso scandalizza tanto l’uomo comune, il benpensante, il
cosiddetto « filisteo », nel quale evidentemente non opera il fermento eversore
dell’infinito. Tale compresenza quasi obbligata di genio e di disordine morale fu
spiegata più tardi, nella diversa temperie della cultura positivistica, come effetto
della regressione di alcuni caratteri, quasi a compenso negativo dell’eccezionale
avanzamento evolutivo di altri. Genio e pazzia hanno punti in comune per C.
Lombroso e per la sua scuola: resta comunque anche in questa nuova prospettiva
l’accettazione del modello romantico del genio come esemplare di una umanità
eccezionale. In età postromantica la qualifica di genio è stata largamente attribuita
anche ai grandi scienziati e Bergson qualifica come « geni mistici » i creatori di
nuove religioni. Oggi la parola è usata con molta parsimonia. La ricerca scientifica
procede per lavoro di équipe: il « lampo di genio » appare sempre più come un caso
fortunato o come una riduzione e semplificazione rischiosa di alcune verifiche
intermedie. Anche l’artista, sperimentatore attento e uomo almeno tendenzialmente
integrato nella società, pare meglio caratterizzato dalle note della ricerca paziente e
della conoscenza faticosa, piuttosto che da quella dell’estro esplosivo.