Page 352 - Dizionario di Filosofia
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a  condannare  recisamente  questa  e  a  riaffermare  l’imposizione  del  sistema

          tolemaico: le opere di Copernico furono messe all’Indice e Galileo venne convocato
          a Roma a giustificare le sue opinioni. Egli sosteneva che la teoria copernicana non
          era  in  contrasto  con  la  Bibbia:  questa  si  doveva  ritenere  infatti  scritta  in  un
          linguaggio tale da riuscire comprensibile agli uomini del suo tempo, senza scopi di
          verità scientifica, che si potevano invece raggiungere solo con l’osservazione diretta
          della natura; la sua posizione fu respinta e Galileo fu diffidato dall’occuparsi ancora

          della  teoria  eliocentrica.  Lo  scienziato  non  abbandonò  però  le  osservazioni
          astronomiche: nel 1623 pubblicò uno dei suoi scritti più importanti, Il saggiatore*,
          il  cui  valore  fondamentale  consiste  nell’affermazione  vigorosa  del  metodo
          sperimentale,  con  il  ricorso  continuo  all’osservazione  diretta,  e  nell’enunciazione
          del  carattere  di  certezza  della  conoscenza  della  natura,  quando  sia  espressa  in
          relazioni matematiche. Nel 1623 divenne papa il cardinale Barberini (Urbano VIII),
          che  Galileo  aveva  già  conosciuto  come  interlocutore  aperto  e  illuminato  in

          discussioni scientifiche e a cui dedicò Il saggiatore; dopo una lunga elaborazione,
          nel  1632  pubblicò  il Dialogo  sopra  i  due  massimi  sistemi  del  mondo*,  opera
          fondamentale  nella  storia  del  pensiero  moderno,  nella  quale  dimostra,  sotto
          l’apparenza  di  neutralità,  la  fondatezza  del  sistema  copernicano  contro  quello
          tolemaico.  Benché le  autorità  ecclesiastiche  avessero  autorizzato  la  pubblicazione
          dell’opera e, nella prefazione e nelle conclusioni, Galileo affermasse di accettare la

          verità religiosa secondo la Bibbia, la difesa del sistema copernicano era manifesta:
          per iniziativa dei gesuiti, lo scienziato fu nuovamente chiamato a Roma, processato e
          giudicato colpevole (1633). Costretto ad abiurare, fu condannato alla prigione a vita:
          la pena fu subito mutata in quella dell’isolamento, che egli trascorse a Siena presso
          l’arcivescovo suo amico e poi nella villa di Arcetri, vicino a Firenze.
          L’asprezza  delle  pene  fu  poi  attenuata  dalla  concessione  di  tenere  presso  di  sé
          qualche discepolo: negli ultimi anni ebbe vicino V. Viviani, che fu poi anche il suo

          primo biografo, ed E. Torricelli, il più noto dei suoi allievi. Si dedicò ancora alla
          scienza e nel 1638 pubblicò (a  Leida) un’ultima opera fondamentale: i Discorsi e
          dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e
          i movimenti locali, dove — ancora sotto forma di dialogo tra Salviati, Sagredo e
          Simplicio,  gli  interlocutori  del Dialogo  sopra  i  due  massimi  sistemi  —  sono

          raccolti organicamente tutti i risultati di meccanica che lo scienziato aveva ottenuto
          fin dal periodo pisano e padovano. Vi sono trattate la resistenza dei materiali e la
          dinamica;  quanto  alla  prima,  Galileo  espone  una  teoria  atomistica  della  materia,
          riduce a un problema di statica la resistenza del mezzo al moto di un corpo e, contro
          gli  aristotelici,  sostiene  che  il  moto  nel  vuoto  è  possibile  e  anzi  tutti  i  gravi  vi
          cadrebbero  con  uguale  velocità.  Trattando  la  dinamica  adotta  un  metodo
          rigorosamente deduttivo: da premesse e ipotesi generali ricava matematicamente le
          proprietà dei moti e adduce poi prove sperimentali a verifica dei risultati. Fino alla

          morte, avvenuta nel 1642, Galileo continuò i suoi studi: nel 1674 il Viviani pubblicò
          una continuazione dei Discorsi del 1638 e altri frammenti furono ritrovati e stampati
          nei secoli successivi.
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