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a condannare recisamente questa e a riaffermare l’imposizione del sistema
tolemaico: le opere di Copernico furono messe all’Indice e Galileo venne convocato
a Roma a giustificare le sue opinioni. Egli sosteneva che la teoria copernicana non
era in contrasto con la Bibbia: questa si doveva ritenere infatti scritta in un
linguaggio tale da riuscire comprensibile agli uomini del suo tempo, senza scopi di
verità scientifica, che si potevano invece raggiungere solo con l’osservazione diretta
della natura; la sua posizione fu respinta e Galileo fu diffidato dall’occuparsi ancora
della teoria eliocentrica. Lo scienziato non abbandonò però le osservazioni
astronomiche: nel 1623 pubblicò uno dei suoi scritti più importanti, Il saggiatore*,
il cui valore fondamentale consiste nell’affermazione vigorosa del metodo
sperimentale, con il ricorso continuo all’osservazione diretta, e nell’enunciazione
del carattere di certezza della conoscenza della natura, quando sia espressa in
relazioni matematiche. Nel 1623 divenne papa il cardinale Barberini (Urbano VIII),
che Galileo aveva già conosciuto come interlocutore aperto e illuminato in
discussioni scientifiche e a cui dedicò Il saggiatore; dopo una lunga elaborazione,
nel 1632 pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo*, opera
fondamentale nella storia del pensiero moderno, nella quale dimostra, sotto
l’apparenza di neutralità, la fondatezza del sistema copernicano contro quello
tolemaico. Benché le autorità ecclesiastiche avessero autorizzato la pubblicazione
dell’opera e, nella prefazione e nelle conclusioni, Galileo affermasse di accettare la
verità religiosa secondo la Bibbia, la difesa del sistema copernicano era manifesta:
per iniziativa dei gesuiti, lo scienziato fu nuovamente chiamato a Roma, processato e
giudicato colpevole (1633). Costretto ad abiurare, fu condannato alla prigione a vita:
la pena fu subito mutata in quella dell’isolamento, che egli trascorse a Siena presso
l’arcivescovo suo amico e poi nella villa di Arcetri, vicino a Firenze.
L’asprezza delle pene fu poi attenuata dalla concessione di tenere presso di sé
qualche discepolo: negli ultimi anni ebbe vicino V. Viviani, che fu poi anche il suo
primo biografo, ed E. Torricelli, il più noto dei suoi allievi. Si dedicò ancora alla
scienza e nel 1638 pubblicò (a Leida) un’ultima opera fondamentale: i Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e
i movimenti locali, dove — ancora sotto forma di dialogo tra Salviati, Sagredo e
Simplicio, gli interlocutori del Dialogo sopra i due massimi sistemi — sono
raccolti organicamente tutti i risultati di meccanica che lo scienziato aveva ottenuto
fin dal periodo pisano e padovano. Vi sono trattate la resistenza dei materiali e la
dinamica; quanto alla prima, Galileo espone una teoria atomistica della materia,
riduce a un problema di statica la resistenza del mezzo al moto di un corpo e, contro
gli aristotelici, sostiene che il moto nel vuoto è possibile e anzi tutti i gravi vi
cadrebbero con uguale velocità. Trattando la dinamica adotta un metodo
rigorosamente deduttivo: da premesse e ipotesi generali ricava matematicamente le
proprietà dei moti e adduce poi prove sperimentali a verifica dei risultati. Fino alla
morte, avvenuta nel 1642, Galileo continuò i suoi studi: nel 1674 il Viviani pubblicò
una continuazione dei Discorsi del 1638 e altri frammenti furono ritrovati e stampati
nei secoli successivi.