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di là della realtà come appare a noi (fenomeno), esiste certamente una realtà in sé
(noumeno): ma essa è, proprio perché tale, inaccessibile all’attività conoscitiva
dell’uomo.
La concezione fenomenistica ricompare nelle filosofie dell’Ottocento
programmaticamente orientate verso un ritorno a Kant, come nel neocriticismo
tedesco e nella scuola del Renouvier in Francia. Essa è presente anche, almeno nel
senso dell’abbandono della pretesa impossibile della conoscenza assoluta, in molte
correnti della filosofia contemporanea (neopositivismo).
FENÒMENO (gr. phainómenon, da pháinesthai, apparire). In senso lato, tutto ciò che
si manifesta o si « presenta » alla coscienza. (Per la fenomenologia, dopo Husserl,
questo manifestarsi non dà solo l’apparenza della cosa, ma in qualche modo l’in sé
di questa, e si identifica quindi con il suo essere.)
• Per Kant, in opposizione a noumeno, o cosa in sé, che resta inconoscibile, ciò che
può essere conosciuto ovvero: « ciò che non appartiene all’oggetto in se stesso e che
è inseparabile dalla rappresentazione che il soggetto ha di questo ».
FENOMENOLOGÌA. Il termine risale a Lambert, che lo usò per designare la teoria
delle apparenze obiettive (des objektiven Scheins, quarta parte del suo Nuovo
Organo). La parola ha assunto un significato particolare nell’idealismo classico
tedesco: in Fichte e in Hegel la fenomenologia è la ricostruzione della storia della
coscienza umana, ovvero del processo attraverso cui essa si innalza dalla limitatezza
della conoscenza sensibile e del particolarismo soggettivo al sapere assoluto. Oggi il
termine è riferito particolarmente al pensiero di Husserl e a tutto un largo movimento
filosofico che si rifà, se non alle conclusioni, almeno al metodo husserliano.
Il movimento che prende più particolarmente il nome di « fenomenologia pura » è
partito da una riconsiderazione dei fondamenti delle matematiche, si è sviluppato in
una logica e in una teoria del conoscere, per espandersi alla fine in una concezione
filosofica generale. La tendenza che lo anima è quella di un ritorno ai dati immediati
della coscienza; il concetto fondamentale è quello della « intenzionalità ».
L’intenzionalità (lat. intentio) indicava nella tarda scolastica la caratteristica
specifica del concetto, che è quella di riferirsi a un « altro » diverso da sé. La tesi
del carattere intenzionale della coscienza venne a Husserl dall’influenza del suo
maestro Franz Brentano, che riprese il concetto scolastico e lo sviluppò in analisi
molto sottili. Husserl muove dalla constatazione che, se è possibile rappresentarsi
intuitivamente tre o quattro oggetti, non si riesce invece a rappresentarsene davvero
un numero troppo grande, per esempio mille. In questo caso si può solamente «
pensarli ». Sviluppando questo punto Husserl distingue due tipi opposti di relazione
della coscienza al reale, o di intenzionalità: con il primo, la coscienza coglie
l’oggetto in un modo intuitivo e originario; con il secondo essa si rapporta
all’oggetto in una « intenzione vuota ». Tuttavia, per Husserl, noi siamo capaci di
intuire immediatamente non soltanto le qualità sensibili, come un suono, un colore, un
dato tattile, ma anche i puri significati, le essenze logiche. La teoria della «
intuizione delle essenze » è la base della gnoseologia husserliana. Nell’opera Idee
per una fenomenologia pura (1913), la « fenomenologia trascendentale » appare