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contrapposta idea di libertà.
Nel mondo classico la poesia epica e tragica e varie scuole filosofiche
consideravano gli eventi come retti dalla Necessità (gr. môira, anánkē) o dal
Destino (lat. fatum), davanti a cui gli stessi dei erano impotenti, costretti anch’essi a
subire il prescritto corso degli eventi. L’idea di questa onnipotente necessità è
presente in modo esemplare, seppure in forme diverse lungo una linea evolutiva
plurisecolare, nella filosofia stoica. La saggezza non sta nell’illusione di un
impossibile capovolgimento operato dalla volontà, ma nell’accettazione senza
resistenza della immodificabile necessità.
Con il cristianesimo il problema diventa tormentoso, dovendosi conciliare l’esigenza
di garantire la libertà dell’uomo, responsabile della propria salvezza come della
propria dannazione, con la fede nell’onniscenza e nell’onnipotenza di Dio. Già in
sant’Agostino la meditazione su questo problema sfocia in sconcertanti formulazioni,
specialmente nel corso della polemica contro i pelagiani: dopo Adamo l’uomo ha
perduto la facoltà di poter non peccare. San Tommaso afferma invece che Dio, nella
sua eternità « fuori dal tempo », vede tutto l’avvenire, senza che questo pregiudichi
peraltro la libertà delle nostre scelte.
Nella Riforma, particolarmente con la teologia calvinista, si afferma la dottrina della
predestinazione. In Spinoza l’accettazione gioiosa dell’ordine naturale costituisce il
punto di arrivo della meditazione filosofica. Il motivo classico dell’assunzione
liberatrice della necessità è presente anche in Nietzsche (amor fati). Nel pensiero
positivistico il convincimento che la necessità, una volta illuminata dalla scienza,
cessa di essere fatalità cieca, ripropone con accenti vari il motivo spinoziano della
libertà come presa di coscienza della necessità. Per l’idealismo romantico e per i
suoi epigoni la fatalità diventa Storia, Ordine del Mondo, Razionalità, e il singolo
deve ancora una volta rassegnarsi a coincidere con la totalità.
Il pensiero contemporaneo tende, in varie direzioni, al disimpegno del singolo dalla
necessità: Dewey presenta l’iniziativa umana inserita senza garanzie di successo in
un universo precario; lo spiritualismo accentua l’assolutezza della persona e quindi
sottolinea la totale responsabilità dell’individuo; per Sartre l’uomo è « condannato a
essere libero », in quanto la responsabilità della propria esistenza, ovvero delle
proprie scelte, pesa solo su di lui, accantonata ogni trascendenza o idea di Dio. Lo
stesso concetto di caso* (ultima « incarnazione » del Destino degli antichi) appare
oggi sempre più razionalizzato nei calcoli statistici.
FATTICITÀ. Carattere di ciò che esiste di fatto, senza alcuna necessità. La parola è
usata da Heidegger e da altri filosofi esistenzialisti per designare la condizione
dell’essere emotivamente consapevole della propria esistenza, ma incapace di
giustificarla ontologicamente. Sartre indica con fatticità la radicale contingenza del
per sé, che non può impedirsi di essere ed è tuttavia totalmente responsabile del suo
essere. Per motivi di chiarezza terminologica, Abbagnano e altri studiosi italiani
rendono con fatticità (in ted. Tatsächlichkeit) solo la nozione dell’esistenza di fatto
delle cose, e usano effettività (in ted. Faktizität) per esprimere il senso
heideggeriano.