Page 314 - Dizionario di Filosofia
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contrapposta idea di libertà.

          Nel  mondo  classico  la  poesia  epica  e  tragica  e  varie  scuole  filosofiche
          consideravano  gli  eventi  come  retti  dalla  Necessità  (gr. môira,  anánkē)  o  dal
          Destino (lat. fatum), davanti a cui gli stessi dei erano impotenti, costretti anch’essi a
          subire  il  prescritto  corso  degli  eventi.  L’idea  di  questa  onnipotente  necessità  è
          presente  in  modo  esemplare,  seppure  in  forme  diverse  lungo  una  linea  evolutiva
          plurisecolare,  nella  filosofia  stoica.  La  saggezza  non  sta  nell’illusione  di  un

          impossibile  capovolgimento  operato  dalla  volontà,  ma  nell’accettazione  senza
          resistenza della immodificabile necessità.
          Con il cristianesimo il problema diventa tormentoso, dovendosi conciliare l’esigenza
          di  garantire  la  libertà  dell’uomo,  responsabile  della  propria  salvezza  come  della
          propria dannazione, con la fede nell’onniscenza e nell’onnipotenza di  Dio.  Già in
          sant’Agostino la meditazione su questo problema sfocia in sconcertanti formulazioni,
          specialmente nel corso della polemica contro i pelagiani: dopo Adamo l’uomo ha

          perduto la facoltà di poter non peccare. San Tommaso afferma invece che Dio, nella
          sua eternità « fuori dal tempo », vede tutto l’avvenire, senza che questo pregiudichi
          peraltro la libertà delle nostre scelte.
          Nella Riforma, particolarmente con la teologia calvinista, si afferma la dottrina della
          predestinazione. In Spinoza l’accettazione gioiosa dell’ordine naturale costituisce il
          punto  di  arrivo  della  meditazione  filosofica.  Il  motivo  classico  dell’assunzione

          liberatrice della necessità è presente anche in Nietzsche (amor fati).  Nel pensiero
          positivistico il convincimento che la necessità, una volta illuminata dalla scienza,
          cessa di essere fatalità cieca, ripropone con accenti vari il motivo spinoziano della
          libertà come presa di coscienza della necessità. Per l’idealismo romantico e per i
          suoi epigoni la fatalità diventa Storia, Ordine del Mondo, Razionalità, e il singolo
          deve ancora una volta rassegnarsi a coincidere con la totalità.
          Il pensiero contemporaneo tende, in varie direzioni, al disimpegno del singolo dalla

          necessità: Dewey presenta l’iniziativa umana inserita senza garanzie di successo in
          un universo precario; lo spiritualismo accentua l’assolutezza della persona e quindi
          sottolinea la totale responsabilità dell’individuo; per Sartre l’uomo è « condannato a
          essere  libero  »,  in  quanto  la  responsabilità  della  propria  esistenza,  ovvero  delle
          proprie scelte, pesa solo su di lui, accantonata ogni trascendenza o idea di Dio. Lo

          stesso concetto di caso* (ultima « incarnazione » del Destino degli antichi) appare
          oggi sempre più razionalizzato nei calcoli statistici.
          FATTICITÀ. Carattere di ciò che esiste di fatto, senza alcuna necessità. La parola è
          usata  da  Heidegger  e  da  altri  filosofi  esistenzialisti  per  designare  la  condizione
          dell’essere emotivamente  consapevole  della  propria  esistenza,  ma  incapace  di
          giustificarla ontologicamente. Sartre indica con fatticità la radicale contingenza del

          per sé, che non può impedirsi di essere ed è tuttavia totalmente responsabile del suo
          essere.  Per  motivi  di  chiarezza  terminologica,  Abbagnano  e  altri  studiosi  italiani
          rendono con fatticità (in ted. Tatsächlichkeit) solo la nozione dell’esistenza di fatto
          delle  cose,  e  usano effettività  (in  ted. Faktizität)  per  esprimere  il  senso
          heideggeriano.
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