Page 313 - Dizionario di Filosofia
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FĀRĀBĪ (Abū Nasr Muhammad ibn Muhammad al-), filosofo arabo (Wasīğ, territorio
          di Fārāb, Turchestan, 872 - Damasco 950), citato negli scritti latini medievali con i
          nomi di ALFARABI, ALPHARABIUS O anche di AVENNASAR.
          Di stirpe turca, si stabilì dopo la prima giovinezza a Bagdad, fervido centro della
          filosofia e della scienza greche, e studiò sotto la guida di due filosofi cristiani. Più
          tardi passò in Siria, dove trascorse il resto della sua vita, salvo un breve soggiorno

          in Egitto. Al-Fārābī è considerato il più grande filosofo arabo prima di Avicenna, il
          quale  del  resto  ne  fu  influenzato.  Commentatore  di Aristotele  e  di  altri  pensatori
          greci,  elaborò  un  proprio  sistema  nel  quale  si  sforzò  di  accordare  aristotelismo,
          neoplatonismo  e  principi  dogmatici  dell’islamismo.  La  sua  opera  comprende  un
          centinaio di libri e di opuscoli, in parte ancora inediti, riguardanti la filosofia, la
          matematica,  l’astronomia  la  medicina,  la  alchimia  e  la  musica.  Fra  le  opere
          filosofiche sono di particolare interesse i trattati sull’intelligenza e sull’intelligibile,

          sull’anima  e  le  sue  facoltà,  sull’unità,  sul  tempo,  sullo  spazio,  sulla  sostanza,  sul
          vuoto  e  sulla  misura.  Il Kitāb al-Mūsīqī al-Kabīr (Il grande libro della musica)
          contiene la sua teoria matematica della musica, elaborata utilizzando le concezioni di
          Aristotele, di Aristosseno e di Tolomeo.

          Bibliogr.: R. Hamui, La filosofia di Alfarabi, « Rivista di filosofia neoscolastica »,
          1928;  I.  Madkour, La  place  d’al-Farabi  dans  l’école  philosophique  musulmane,
          Parigi 1934; L. Strauss, Quelques remarques sur la science politique de Maimonide
          et de  Farabi,  «  Revue  des  études  juives  »,  1936;  D.  Cabanelas, Alfarabi y su  «
          Libro de la concordancia » entre Platón y Aristóteles, « Verdad y Vida », 1950.
          FARBER  (Marvin),  filosofo  americano  (Buffalo,  New  York,  1901).  Discepolo  di

          Husserl, insegna alla New York State University a Buffalo.
          Congiunge,  con  il  suo  metodo,  il  materialismo  con  la  fenomenologia  attraverso
          l’interpretazione di quest’ultima come un aiuto nel campo delle scienze; egli sostiene
          che la fenomenologia, liberata da ogni preconcetto idealistico, è un metodo riflessivo
          che permette la chiarificazione dei concetti-base in termini di diretta esperienza. Egli

          ritiene la « coscienza pura » di Husserl un dogma metafisico, un pregiudizio inserito
          in una filosofia che ha come ideale il rifiuto di ogni pregiudizio.
          FARRÉ  (Luis),  filosofo  argentino  (Montblanch,  Spagna,  1902).  Dal  1957  insegna
          presso l’università di La Plata. Egli si sforza di costruire una filosofia concreta, che
          rifugga  da  ogni  evasione  rispetto  al  problema  dell’esistenza.  Egli  sostiene  che  il
          peggior  pericolo  per  l’uomo  è  il  cadere  nel  mondo  della  ‘generalizzazione,

          sfuggendo  così  al  suo  destino  temporale.  Nella  sua  opera Le  categorie  estetiche
          (1967) si nota una ispirazione platonica, benché improntata al realismo delle correnti
          moderne.  Secondo  Farré, tutte le categorie estetiche sono unificate nella relazione
          che mantengono con la bellezza, considerata come normatività estetica o beatitudine
          dell’anima in contemplazione.

          FATALISMO. Teoria che considera tutti gli avvenimenti predeterminati da una forza
          soprannaturale.  Il  concetto  di fatalismo ha assunto nella storia della civiltà forme
          diverse  e  la  sua  evoluzione  è  andata  di  pari  passo  con  l’approfondimento  della
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