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considera l’eudemonismo una pseudomorale egoistica, afferma irrealizzabile nel
tempo la pienezza della felicità e ne rinvia l’attuazione ad un « regno della grazia »
puramente intelligibile. L’assolutizzazione della felicità comporta il trasferimento
oltre la vita terrena del suo realizzarsi: tuttavia la componente eudemonistica resta
essenziale, come è pure evidente nella dottrina cristiana.
EUSTAZIO di Cappadocia, in gr. Eustathios, filosofo neoplatonico del IV sec. d.C.
Fu allievo di Giamblico e di Edesio e succedette a quest’ultimo, che si era trasferito
a Pergamo, nella direzione della scuola platonica della Cappadocia.
Nello spirito dell’insegnamento di Giamblico cercò di combattere il cristianesimo,
contrapponendo a esso i culti e i miti pagani, interpretati in chiave
speculativosimbolica. Fu inviato da Costantino come ambasciatore presso il re di
Persia Sapore II e finì per stabilirsi alla corte di quest’ultimo. Si conserva una
lettera con la quale Giuliano l’Apostata lo invita a venire a Roma.
EUTANASÌA (gr. eu-, buono e thánatos, morte). Termine con cui si indica la morte
procurata con libero intervento allo scopo di abbreviare i tormenti dell’agonia o di
por fine a una malattia molto dolorosa di cui si prevede esito fatale o al fine di
soddisfare qualche esigenza di natura collettiva. Nel mondo antico il problema
morale dell’eutanasia non fu molto sentito, dato che il valore della persona umana
era diverso da quello che noi oggi le attribuiamo. Platone stesso affermava: «
Instaurerai nello Stato una disciplina e una legislazione che si limitino a stabilire i
compiti per i cittadini sani di corpo e di anima; quanto a coloro che non sono sani di
corpo, li si lascerà morire » (Repubblica, III).
In questo caso l’eutanasia (consistente nell’abbandono a se stesso del malato) ha
come fine l’utilità collettiva e l’eugenica. La religione ebraica e il cristianesimo,
invece, condannarono sempre in modo radicale l’omicidio di qualunque genere,
basandosi sulla convinzione che solo Dio può disporre della vita e della morte;
inoltre, dato che per queste religioni il dolore ha il senso di un riscatto spirituale, ne
deriva che è proibito alleviare e abbreviare le sofferenze, sia pure quelle
dell’agonia. A fortiori è quindi vietato uccidere per altri motivi, quali la ragion di
Stato o l’eugenica. Queste convinzioni vennero chiaramente enunciate nel XII sec. dal
filosofo e medico ebreo Maimonide, e nel XVI sec. dal celebre medico francese
Ambroise Paré. Dalla reazione a queste convinzioni spiritualistiche, delineatasi in
epoca rinascimentale, scaturì l’atteggiamento di Francesco Bacone, il quale
sosteneva che la « missione del medico è quella di restituire la salute e di lenire le
sofferenze del paziente, non solo in vista della guarigione, ma anche allo scopo di
procurare al malato inguaribile una morte tranquilla e serena », e quello di Tommaso
Moro, il quale assegna ai preti e ai magistrati il dovere di spingere alla morte i
malati incurabili in ragione delle loro sofferenze e della loro inutilità sociale.
EUTIDÈMO, in gr. Euthýdēmos, sofista greco del V sec. a.C, messo in ridicolo da
Platone in uno dei suoi dialoghi più vivaci, intitolato appunto Eutidemo. È probabile
che Platone abbia deformato la fisionomia storica del personaggio, per rendere più
efficace e persuasiva la sua critica alle tesi e agli argomenti dell’eristica. Che
tuttavia Eutidemo non sia solo una creazione della fantasia platonica è provato da