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razionalmente il canone della bellezza e della perfezione artistica. Tuttavia tale
risultato, che ha così profondamente influenzato l’estetica romantica, non ha
costituito una conquista definitiva, se si considera la forza di suggestione delle
estetiche intellettualistiche contemporanee, dalla concezione dell’arte-architettura di
Paul Valéry, al recupero dell’estetica cinquecentesca operato da Galvano Della
Volpe, alle varie teorizzazioni nate sul terreno della cosiddetta « arte astratta ».
• Storia delle dottrine. Una storia dell’estetica dovrebbe prendere le mosse da
Platone, del quale è nota la distinzione fra l’arte e il bello. Il bello di natura, come
presenza visibile dell’idea, è un valido punto d’appoggio per l’anima desiderosa di
tornare al mondo dei valori eterni, che le è proprio. L’arte invece, come imitazione
della natura, che è a sua volta imitazione dell’idea, è un’esperienza che allontana
l’uomo dal mondo ideale e come tale è bandita dalla Repubblica. Aristotele riprende
il concetto dell’arte come imitazione (gr. mímēsis) della natura, ma attribuendo
all’imitazione una funzione idealizzante e purificatrice (lo spettacolo tragico in teatro
opera una catarsi, o purificazione dalle passioni nell’animo dello spettatore),
assegna all’arte una funzione educatrice positiva. Poiché d’altra parte nell’opera di
Aristotele dedicata al tema dell’arte (La poetica, di cui è sopravvissuto un ampio
frammento) erano contenute formule e osservazioni che potevano anche essere
interpretate in senso normativo (per es. gli accenni alle famose « unità »), l’estetica
classicistica assunse più tardi, sulla falsariga di Aristotele ma anche sotto l’influenza
delle preoccupazioni religiose, alcuni caratteri tipici, che possono essere così
riassunti; 1. il concetto dell’arte come imitazione della natura; 2. il concetto dell’arte
come costruzione intellettuale operata in base a regole ben definite; 3. il concetto
dell’arte come portatrice di verità razionali rivestite di forme atte a renderle
gradevoli. La più radicale revisione di queste posizioni fu compiuta da Giambattista
Vico, nella linea di quel ripensamento settecentesco del problema dell’arte, del
quale si è fatto cenno a proposito dell’introduzione del concetto di gusto. Per il Vico
l’arte è prodotto della fantasia, la poesia è il naturale linguaggio dell’umanità nella
fase « eroica », i grandi poeti sono « sublimi fanciulli », nella poesia non è contenuta
una « sapienza riposta », cioè una « metafisica ragionata », ma se mai una metafisica
« sentita e immaginata ». Kant, nella Critica del giudizio, colloca l’esperienza
estetica nella sfera del sentimento, rivelatore della finalità. Si tratta peraltro di un
sentimento tutto particolare, indipendente dai sensi, senza interesse, universale e
necessario. II motivo della creatività e dell’originalità (in opposizione all’antica
imitazione) e quello del valore conoscitivo dell’arte dominano l’estetica romantica.
Per Schelling l’arte è addirittura la prosecuzione dell’attività creatrice di Dio e al
tempo stesso l’organo privilegiato della conoscenza metafìsica. Il produttore di
opere d’arte diventa così più che un uomo e acquista i tratti titanici di quello che i
romantici chiamano il Genio. Anche per Hegel l’arte è creazione e conoscenza,
sebbene solo come primo momento di quella autocoscienza dello Spirito Assoluto
che trova la sua autentica e totale realizzazione nella filosofìa. Schopenhauer, nel
Mondo come volontà e rappresentazione, riprende con accenti originali il motivo
platonizzante dell’arte rivelatrice dell’ideale presente nel reale. Benedetto Croce ha