Page 30 - Dizionario di Filosofia
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Lo scritto di Morris è del 1938 e aveva l’ottimismo dei nuovi enciclopedisti.

          Ma  numerose  difficoltà  dovevano  frapporsi  all’esecuzione  del  progetto,  così  da
          volgere gli studiosi verso un lavoro più settoriale. Non per questo è venuto meno
          l’avviso fondamentale del pragmatismo, il carattere ipotetico e sperimentale della
          ricerca contro ogni sua fissazione dogmatica. Il problema dell’ontologia, ha notato
          Quine,  è  lo  stesso  di  una  teoria  scientifica:  in  entrambi  si  fa  uso  dello  schema
          concettuale più semplice, quello in cui si possono adattare e ordinare i frammenti

          dell’esperienza immediata. Ma la semplicità non è una nozione priva di ambiguità e
          può fornire due o più criteri diversi, come nel caso di uno schema fenomenistico
          (dove le entità implicate, i valori vincolati, sono eventi soggettivi di natura sensibile
          e intellettuale) e di uno fisicalistico. Per quale decidersi? Ciascuno presenta a suo
          modo un certo grado di semplicità e merita di essere sviluppato. Di entrambi si può
          ancora dire che sono essenziali in un senso differente, l’uno in quello epistemologico
          e l’altro in quello fisico.  Ora non c’è dubbio che per lo schema fenomenistico le

          ontologie degli oggetti reali e degli oggetti matematici siano dei miti, ma ugualmente
          si deve ricordare che il carattere del mito è sempre relativo al punto di vista di chi
          lo assume tra i tanti possibili in vista di certi scopi. Su ciò bisogna essere radicali,
          né si può seguire Carnap, Lewis e gli altri che assumono una posizione pragmatica
          nella scelta delle forme linguistiche e poi ne recedono di fronte a problemi come
          quello  della  differenza  immaginaria  tra  l’analitico  e  il  sintetico  (W.  O.  V.  Quine,

          From a Logical Point of View, New York and Evanston 1961, pp. 17–19, 46).
                In questo contesto non entra, né vi potrebbe entrare immediatamente, lo spirito
          riformatore dei primi pragmatisti. Semmai lo ritroviamo in Morris quando indicava
          nella  semiotica  l’alleato  naturale  di  una  filosofia  empirica,  l’organo  capace  di
          controllarne le credenze e le valutazioni senza pregiudizio della loro diversità. Ma
          un tale impegno democratico sembra declinare dopo il progetto deweyano di affidare
          all’istituzione scientifica il compito di accertare e aggiustare le contraddizioni di una

          società  capitalistica  avanzata.  Né  l’incontro-scontro  col  comunismo  sovietico  del
          dopoguerra  ha  stimolato  tra  gli  intellettuali  newdealisti  programmi  veramente
          innovatori. È accaduto così che un allievo di Dewey, Sidney Hook, sia stato portato
          dalla condanna della teoria e della prassi marxista in  Russia ad avallare l’ordine
          esistente  negli  Stati  Uniti  e  a  trascurarne  le  tensioni  obiettive;  mentre,  dall’altra

          parte,  Lukács  non  avrebbe  tardato  a  coinvolgere  nel  suo  giudizio  negativo  tutti  i
          pragmatisti,  maestri  ed  epigoni,  trascurandone  le  differenze  e  indicando  in  essi  il
          sostegno  nascosto  o  esplicito  dell’ideologia  capitalistica.  Se  a  queste  accuse  si
          aggiunge  la  contestazione  interna  degli  ultimi  anni,  il  rifiuto  da  parte  dei  gruppi
          radicali del modello di vita « americano », il primo compito che si impone è quello
          di  ripercorrere  la  storia  controversa  del  pragmatismo  e  di  sapervi  cogliere  le
          alternative di segno diverso.


                                                                                        ANTONIO SANTUCCI
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