Page 34 - Dizionario di Filosofia
P. 34

LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA

                Talete  predisse  un’inaspettata  eclisse  e  divenne  uno  dei  Sette  Savi,  almeno
          stando  alla  tradizione;  Descartes  nei Principi  di  Filosofia  (1644)  affermava  che
          sappiamo che le nostre ipotesi sono corrette « solo quando constatiamo di essere
          capaci di spiegare con esse non solo gli effetti che abbiamo inizialmente preso in
          considerazione ma anche altri fenomeni cui non si era pensato in precedenza… ». Le
          citazioni  potrebbero  continuare:  nella  tradizione  del  pensiero  occidentale  infatti  è
          presente  in  modo  rilevante,  al  di  là  di  differenze  filosofiche  e  culturali,

          l’abbinamento  del  potere predittivo  delle  teorie  (detto  in  breve,  la  capacità  di
          fornire  predizioni  che  hanno  successo)  e  di  quello esplicativo  (la  capacità  di
          spiegare i fenomeni, cioè di ricondurli a un quadro più generale dei fenomeni presi
          in considerazione). È pur vero che non sono mancati i tentativi di separare questi due
          aspetti  fino  a  forme  radicali  di  «  scetticismo  ».  Ma  il  successo  della  fisica
          newtoniana agli inizi del Settecento disperse apparentemente le obiezioni scettiche,

          in  quanto  sembrò  fornire  un’immagine  soddisfacente  del  mondo,  confermata
          dall’osservazione dei fenomeni.
                Agli inizi dell’Ottocento nell’opera del grande fisico matematico P. S. Laplace
          la combinazione del potere predittivo e di quello esplicativo delle teorie culmina in
          un ambizioso programma in cui tutta la conoscenza della realtà viene modellata sul
          determinismo  della  meccanica  celeste.  Per  Laplace  «  la  curva  descritta  dalla
          particella più leggera, che i venti sembrano trascinare a caso, è regolata da norme

          tanto certe quanto le orbite dei pianeti » (1814). Orbene, fino agli inizi della seconda
          metà  dell’Ottocento,  gli  scienziati,  tranne  qualche  eccezione,  non  pensarono  a
          mettere  in  dubbio  la  sicurezza  laplaciana;  spiegare  un  fenomeno  significava,  per
          usare  le  parole  del  fisico  inglese  William  Thomson  (Lord  Kelvin)  «  esibirne  un
          modello meccanico ». Successivamente doveva però emergere che i sostenitori del
          meccanicismo avevano scambiato una priorità storica (la meccanica aveva raggiunto

          uno  stadio  maturo  prima  di  altre  teorie  empiriche)  per  una  priorità  logica:  in
          particolare  al  viennese  Ernst  Mach,  autore  del  celebre La  meccanica  nel  suo
          sviluppo storico-critico (1883), si attribuiva il merito di aver messo in luce la non
          assolutezza  della  meccanica  e  quindi  l’infondatezza  del  riduzionismo.  Già  i
          contemporanei di Mach constatavano dunque che capaci e spregiudicati ricercatori,
          in grado di pianificare un numero relativamente basso di esperimenti, potevano fare
          di un’intuizione il nucleo di una programmazione scientifica e tecnologica altamente

          sofisticata  e  demolire  i  capisaldi  delle  teorie  più  accreditate.  Ma  ciò  non
          comportava l’abbandono di ogni pretesa assolutezza del conoscere scientifico, anche
          di  quella  che  aveva  animato  scienziati  come  Galileo  Galilei,  che  riteneva  che  la
          nostra  conoscenza  della  natura,  seppur  parziale,  eguagliasse  «  quella  divina  nella
          certezza obbiettiva »?
                È fenomeno ricorrente quello « di scienziati che di norma “dogmatici ingenui”

          tendono a tramutarsi in ’’scettici” » (I. Lakatos); sul piano della riflessione filosofica
          a tale scetticismo « ingenuo » corrisponde una concezione dell’impresa scientifica
          che non prescrive più alle teorie di « spiegare » i fenomeni, ma solo di fornire « una
   29   30   31   32   33   34   35   36   37   38   39