Page 35 - Dizionario di Filosofia
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classificazione delle leggi sperimentali »; così, per esempio, in La Théorie
physique: son objet, sa structure (1906) il filosofo e storico della fisica Pierre
Duhem concedeva alle teorie empiriche il solo potere predittivo, in quanto « le leggi
possono essere solo provvisorie, poiché i simboli che le costituiscono sono troppo
semplici per rappresentare completamente la realtà ».
Ma a un più attento esame, sul piano teorico dogmatismo e scetticismo
appaiono come due facce della medesima medaglia, quella concezione che in genere
i filosofi anglosassoni chiamano « giustificazionismo » che o fonda la scienza come
verità assoluta o, di fronte alla proliferazione di teorie rivali, perviene alla
conclusione che la verità è irraggiungibile. Sul piano storico, poi, un’analisi più
attenta agli sviluppi delle scienze tra Ottocento e Novecento mostra che quella che
veniva vista da numerosi uomini di cultura come una « crisi delle scienze » era
piuttosto, per usare una pregnante caratterizzazione di L. Geymonat, un complesso di
« trasformazioni di fondo », che, lungi dal significare un fallimento della ragione
scientifica, ponevano i germi per nuove e audaci teorizzazioni.
Sia nel celebre Materialismo ed empiriocriticismo (1908), sia in alcuni passi
d e i Quaderni filosofici V. I. Lenin, che certo non era un epistemologo di
professione, al di là della polemica contingente contro i seguaci russi delle dottrine
di Mach e Duhem, prospettava i due termini del conflitto scetticismo/dogmatismo
come poli di un unico processo, in cui « la posta in gioco » (D. Lecourt) era
costituita dalla possibilità stessa di vedere l’impresa scientifica come razionale. In
particolare tali interventi miravano a mostrare la razionalità dell’atteggiamento di
scienziati militanti che, come il grande fisico viennese L. Boltzmann, si opponevano
a una riduzione in senso strumentalistico o addirittura scettico delle teorie, pur
ammettendo che « le idee che ci formiamo degli oggetti non sono mai identiche alla
natura di questi ultimi ». Tale atteggiamento leniniano ha notevolmente condizionato
l’impegno epistemologico di filosofi, scienziati e storici della scienza in URSS; di
più, ha costituito un punto di riferimento per la ripresa della tematica circa
l’approfondimento delle nostre concezioni mediante teorie che, pur non riflettendo in
modo speculare la realtà, si « approssimano alla verità ». Tale ripresa si è verificata
negli anni Sessanta in ambienti culturalmente diversi: in Italia, nella prospettiva di
rinnovato approccio storico-critico ai problemi della filosofia della scienza (per
esempio, con L. Geymonat); in Francia, nel contesto del dibattito critico tra
marxismo e strutturalismo (per esempio con L. Althusser); nel mondo anglosassone
come riproposizione polemica e provocatoria (per esempio, e con accenti
diversissimi, in H. Putnam e in P. Feyerabend).
Nelle righe che precedono abbiamo cercato di focalizzare quella che ci pare
una delle più rilevanti motivazioni della filosofia della scienza del Novecento, cioè
la constatazione che la perfettibilità illimitata – o almeno a priori non limitabile – di
una teoria non comporta necessariamente che essa sia « un sistema puramente
artificiale », utilizzabile al più come comodo strumento a livello predittivo. Ma
come si combinano allora in modo critico potere esplicativo e potere predittivo
senza ricadere in forme di dogmatismo? Come ci si rende conto dei progressivi