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LA FILOSOFIA E LE SCIENZE UMANE



                Il problema dell’uomo è sempre stato al centro dell’indagine filosofica. In ogni

          tempo e in ogni luogo l’uomo fu sollecito e ansioso di conoscere la propria natura e
          il proprio destino. Il socratico conosci te stesso assume il valore di una definizione
          emblematica  della  filosofia  stessa.  Questo  non  significa  che  il  problema
          antropologico possa o debba sostituire tutti gli altri problemi del mondo extraumano.
          Significa soltanto che il promotore di qualunque ricerca non può mai considerarsi
          estraneo o periferico rispetto al tema della sua stessa indagine.

                L’indagine  antropologica  è  forse  la  più  difficile  tra  le  scienze.  È  certo  più
          agevole studiare un minerale, una foglia, un fiume, una montagna, il cielo, gli oceani
          che  non  l’uomo,  il  più  imprevedibile  e  mutevole  degli  oggetti,  l’ente  sempre
          incompiuto  e  sempre,  in  cammino,  l’immagine  più  complicata  da  inquadrare  e
          mettere a fuoco. Per una specie di paradosso, la nascita e lo sviluppo della scienza
          in  tutti  i  suoi  rami,  invece  di  semplificare  la  fondazione  di  una  antropologia
          filosofica o scientifica, l’ha resa molto più ardua.  Perfino l’avvento recente delle

          scienze  umane  ha  arricchito  le  conoscenze  analitiche,  ma  ha  reso  molto  più
          tormentato  e  complesso,  per  filosofi  e  scienziati,  il  problema  di  compiere  un
          discorso unitario e non generico sull’uomo come realtà specifica entro la struttura di
          una realtà globale. Sono divenuti più cauti ed esitanti gli enunciati che concernono
          l’essenza e la funzione dell’uomo come ente sui generis nel quadro di una natura e di
          una società che lo contengono e lo travalicano. La condizione umana, nella trama dei

          bisogni,  dei  significati,  dei  valori  e  degli  ideali  che  la  costituiscono,  è  un
          microcosmo originale e unico, ma è, anche, un episodio o una avventura nell’insieme
          di un tutto che la trascende all’infinito nello spazio e nel tempo.
                Non possiamo oggi affrontare il fenomeno umano con invecchiati strumenti di
          ricerca e senza tener conto dei risultati e delle informazioni che ci offrono, giorno
          per giorno e in grande copia, quelle scienze che siamo soliti definire umane, oppure
          sociali  e  culturali.  Ma  la  stessa  vastità  degli  orizzonti,  la  stessa  ricchezza  delle

          inquadrature possibili, ha già messo in crisi non poche immagini dell’antropologia
          tradizionale,  ancora  vincolata  a  schemi  precopernicani,  predarwiniani  e
          prefreudiani.  La  nozione  stessa  di  scienze  umane  non  si  lascia  delimitare  con
          certezza. Sembra una metaforica sfera che diviene nebulosa e mobile quando ci si
          proponga di stabilirne la circonferenza. Questa assenza di limiti e questa fluidità di

          confini nel perimetro del fenomeno umano rappresentano un ostacolo notevole per le
          scienze umane in cerca di un loro concreto statuto epistemologico e di un orizzonte
          culturale che non sia evanescente come una fata morgana. Dove tutto è umano si crea
          un atteggiamento dispersivo che si dilata in una cattiva infinità.
                Nessuno vuol negare che la storia, la medicina, la biologia, soprattutto in alcune
          loro  dimensioni  tipicamente  antropologiche,  rientrino  nel  corpo  legittimo  delle
          scienze umane. Né si può ragionevolmente sostenere che, ad esempio, l’economia, il
          diritto,  la  demografia,  le  arti,  la  letteratura,  la  tecnologia,  le  scienze  politiche  e
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