Page 37 - Dizionario di Filosofia
P. 37
di cose osservabili » e la comunità scientifica è « decisa » a falsificarle, cioè cerca
di riprodurre sperimentalmente tali stati di cose.
Popper e i pensatori che specie in Inghilterra a lui si sono richiamati, hanno
quindi insistito sull’importanza di tali canoni per comprendere il reale avvicendarsi
delle teorie scientifiche, prospettando la riflessione del filosofo della scienza come
un continuo confronto critico tra « audaci » teorie rivali. L’esito più conseguente, a
nostro avviso, è stato quello di prospettare, come unità di valutazione del progresso
scientifico, sia sotto il profilo esplicativo che quello predittivo, non singoli enunciati
o teorie, ma complessi di teorie, articolate in « programmi » in cui si pianificano
strategia e tattica della ricerca.
L’interesse si è così spostato sulla crescita della conoscenza. Ma fino a che
punto un’analisi squisitamente logico-linguistica sulla struttura delle teorie è in
conflitto con quest’ultima tematica? La risposta implica un giudizio sull’empirismo
logico, da cui non può esimersi attualmente nessuna scuola di filosofia della scienza.
Si può certo concludere, con Popper, che il programma neoempirista che pure
muoveva da rilevanti istanze « razionalistiche e critiche » è in certi casi « degenerato
» nel trattare minuzie; si può ritrovare, per esempio come fanno Paul Feyerabend e
Thomas Kuhn, il marchio dell’empirismo tradizionale nella tematica della riduzione
dei concetti teorici; si può scorgere nelle sue progressive fasi versioni sempre più
raffinate di idealismo e di « materialismo che si vergogna » come fanno i sostenitori
del materialismo dialettico: ma l’eredità dell’empirismo logico resta un termine
ineliminabile di confronto, come mostrano, per esempio, recenti riformulazioni del
problema dei concetti teorici e osservativi, la costituzione di « logiche delle teorie
empiriche », le rivalutazioni del realismo implicito in certe tesi schlickiane e
carnapiane, ecc. È un termine di confronto naturale per concezioni come il «
falsificazionismo » popperiano che ha avuto col neoempirismo « un rapporto
essenziale e inestricabile » (V. Kraft); ma è anche un termine di confronto utilissimo
per mettere a fuoco tratti specifici di una concezione, come per esempio
l’epistemologia di Gaston Bachelard, che si è sviluppata in un contesto, la cultura
filosofica francese del Novecento, il cui termine di riferimento, almeno tra le due
guerre, era, risalendo oltre Poincaré e Duhem, il « vecchio » positivismo di Auguste
Comte (e non certo il « nuovo positivismo » che negli anni Trenta prendeva le mosse
dal Circolo di Vienna!). Ebbene, a nostro avviso, proprio il raffronto con il
programma neoempirista permette di valutare sia le debolezze di fondo
dell’impostazione bachelardiana circa la rilevanza della logica formale nel quadro
di una medesima teoria della conoscenza e la complessa dialettica tra esigenze di
rigore e procedimenti euristici, sia i suoi indubbi punti di forza, quali l’avversione
allo schematismo, il gusto per la vicenda storica e infine la tematica delle « regioni »
del sapere che progressivamente emergono superando gli « ostacoli » frapposti da
teorie più vecchie. Al termine di questo breve excursus ci sia lecito trarre due
conclusioni.
L a prima riguarda l’interazione tra filosofia della scienza e storia della
scienza: ancora agli inizi degli anni Sessanta gli storici professionisti lamentavano