Page 42 - Dizionario di Filosofia
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Questi due esempi non significano che la filosofia debba, giorno per giorno,
cedere alle singole scienze dell’uomo i territori che un tempo erano posti sotto la sua
esclusiva giurisdizione. La lezione è diversa, e si risolve nella proposta di un nuovo
e diverso modo di filosofare che mette a profitto i metodi e i risultati delle singole
ricerche settoriali, accettando, per così dire, la benefica provocazione o il cimento
che tali ricerche propongono e talora impongono. Ma il mutato etos di una filosofia
che non si dissocia dalla scienza ha una sua contropartita nel mutato etos della
scienza più consapevole. Quest’ultima non può sospendere in un limbo unicamente
descrittivo e neutrale le sue ricerche: uscendo da questo limbo, l’incontro con i
motivi e i temi di una filosofia rammodernata non è solo di prammatica ma è un
incontro necessario e fruttuoso.
L’antropologia come disciplina filosofica non può oggi trascorrere i suoi giorni
in un arcaico isolamento, essa si muove, anzi, in compagnia e in raccordo di una
serie, più o meno lunga, di altre scienze umane che non le concedono l’uomo in
dominio riservato o in monopolio. Ma questa situazione di ricerca interdisciplinare e
concomitante non è il punctum dolens della filosofia come studio dell’uomo, bensì il
suo vero e proprio punto d’onore come disciplina che non mortifica mai il suo
oggetto globale, l’uomo, in una settorialità particolare e riduttiva.
Scriveva poco prima della sua morte il filosofo tedesco Max Scheler: « Debbo
constatare con una certa soddisfazione che i problemi dell’antropologia filosofica
sono oggi in Germania al centro di tutta la problematica speculativa, e che i biologi,
i medici, gli psicologi, i sociologi, anche fuori dai circoli specificamente filosofici,
lavorano intorno a una nuova concezione della struttura essenziale dell’uomo. Ma,
indipendentemente da tutto ciò, la stessa problematica sull’uomo ha toccato oggi un
grado mai raggiunto in tutta la storia a noi nota. Dal momento in cui l’uomo ha
riconosciuto che ora più che mai egli manca di una conoscenza precisa del proprio
essere, e che nessuna possibile risposta a tale problema potrà intimorirlo, egli (…)
ha ritrovato il coraggio di sviluppare secondo un nuovo indirizzo la coscienza e
l’intuizione di se stesso, basandosi sul prezioso tesoro delle conoscenze particolari
accumulate dalle singole scienze » (1928).
L’errore fondamentale della cosmologia classica, fin dai suoi primordi in
Grecia, è quello di affermare che il mondo in cui viviamo sia ordinato in modo che
le forme superiori dell’essere siano tanto più ricche di significato e di valore, di
forza e di potenza quanto più sono elevate. « Gravissimo è l’errore » – osserva
Scheler – « sia quando si pensa che le forme più elevate dell’essere – per esempio
la vita nei confronti di ciò che è inorganico, la coscienza nei confronti della vita
incosciente, lo spirito nei confronti di quelle forme di coscienza subumane presenti
anche nell’uomo e fuori di lui – scaturiscano geneticamente dai processi delle forme
inferiori dell’essere stesso (materialismo e naturalismo); sia quando si ammette, al
contrario, che le forme più elevate dell’essere causino quelle inferiori; che c’è, per
esempio, una forza vitale, un’attività della coscienza, e uno spirito per sua natura
potente e attivo (vitalismo e idealismo). Se la teoria negativa conduce a una fallace
spiegazione meccanicistica dell’universo, quella classica porta a sua volta