Page 29 - Dizionario di Filosofia
P. 29
conferenza pubblica del 1909 alla Columbia University e l’avrebbe ripetuto Charles
Morris presentando la psicologia sociale di Mead: il merito dei pragmatisti era stato
quello di fornire una interpretazione originale della mente in termini biologici e di
contribuire a superare i vecchi dualismi di esperienza e natura, finalismo e
meccanicismo, teoria e pratica.
Non obbedendo a vincoli di scuola, il fenomeno pragmatista potrebbe allora
assumersi a segno della « rivolta contro il formalismo » intrapresa dagli intellettuali
più avanzati nei primi decenni del secolo. Le scienze naturali ne venivano toccate e
si rafforzavano nel loro intento sperimentale, ma erano soprattutto le discipline
storiche e sociali, l’economia, la giurisprudenza a riflettere le trasformazioni di un
paese ormai guarito dai postumi della guerra civile e sulla via di assumere un ruolo
internazionale preminente. Holmes, Veblen, Robinson, Beard, ciascuno nel proprio
ambito, e Dewey col suo attacco alla logica scolastica, ne diventavano le figure
esemplari e sostenevano con forza l’aderenza alla vita, al processo, al contesto e alla
funzione. Essi non si mantenevano nei confini della corporazione accademica, ne
uscivano per allargare la base del consenso e garantire lo sviluppo democratico
delle istituzioni. Giustamente Morton White li ha indicati come i philosophes del
New Deal rooseveltiano, di un progetto e di un’esperienza politica che avrebbe
segnato la fine della lcro influenza sulla vita e sulla cultura americana.
Già controverso nei suoi progetti iniziali, il pragmatismo s’avvia a perdere la
propria identità col mutare del contesto sociale e delle istituzioni accademiche
descritte da Wright Mills. La filosofia si professionalizza e gli fa perdere il vecchio
interlocutore popolare, gli interessi si spostano ai problemi dell’epistemologia e i
richiami alla lezione dei maestri si fanno più « tecnici ». Essa era ancora presente a
Clarence Irving Lewis quando osservava che i concetti o leggi a priori non ci dicono
nulla del mondo anturale e valgono semplicemente come principi delle procedure
che possiamo adottare nella ricerca in vista di certi scopi. Non è vero che c’è un
solo sistema categoriale, come credeva Kant, ce ne sono infiniti e la stessa «
necessità logica » consegue a una nostra scelta: con questo concetto dell’« apriori
variabile » e i contributi alla logica simbolica, Lewis preparava a suo modo
l’incontro tra i pragmatisti e i neopositivisti emigrati dalla Germania nazista. Un
incontro possibile e auspicabile, avvertiva Morris in un fascicolo dell’Encyclopedia
of Unified Science, se lo sviluppo della scienza non indica nelle discipline formali i
metodi rivali all’osservazione e all’esperimento nella conoscenza della natura. I
linguaggi sono creati e adoperati da esseri che vivono in un mondo di oggetti, e ne
esistono alcuni la cui validità deriva soltanto da regole che rappresentano abitudini o
convenzioni deliberatamente adottate. Termini come « convenzione », « decisione »,
« regola », ecc. si riferiscono a chi fa uso di tali segni, e fra i titoli del pragmatismo
il più importante è appunto quello di rendere esplicito il ruolo strumentale delle idee
e delle procedure scientifiche alla luce della biologia e della sociologia
postdarwiniane, dando rilievo agli aspetti relazionali e funzionali dell’esperienza
(Scientific Empiricism, in « Encyclopedia of Unified Science », vol. I, n. 1 della
International Encyclopedia of Unified Science, Chicago 1938, pp. 68 sgg.).