Page 295 - Dizionario di Filosofia
P. 295

Esistenzialismo  e  fenomenologia,  Milano  1963;  N.  Abbagnano, Introduzione

          all’esistenzialismo, Torino 1956.


                Sull’esistenzialismo e la sua problematica attuale si veda il saggio di E. Paci
                nella I parte di questo Dizionario.



          ESOTÈRICO  (gr. esōterikós,  interiore,  da ésō, dentro).  Termine usato soprattutto in
          riferimento  alle  scuole  filosofiche  dell’antica  Grecia,  in  contrapposizione  a
          essoterico*. Nella scuola pitagorica erano esoterici gli scolari che facevano parte
          integrante  della  scuola  stessa  e  che  godevano  della  piena  fiducia  e  amicizia  dei
          maestri,  mentre essoterici erano semplicemente gli ascoltatori occasionali o, come
          diremmo  noi  oggi,  gli auditori.  I  due  termini  si  usano  anche  per  caratterizzare  le
          opere  di  Platone  e  di  Aristotele:  quelle essoteriche  trattavano  di  argomenti  più

          semplici e piani ed erano dirette anche a coloro che non facevano parte delle due
          scuole, come i Dialoghi di Platone; le altre opere, dette esoteriche o acroamatiche,
          erano  più  strettamente  tecniche  e  si  rivolgevano  a  una  cerchia  più  ristretta.  Gli
          studiosi ritengono che questa distinzione non si riferisca né alle questioni trattate, né
          alle soluzioni raggiunte, ma solo alla forma e ai procedimenti espositivi.

          ESPERIENZA. Il complesso delle informazioni derivate immediatamente dalla realtà
          attraverso i sensi e dotate perciò, salvo il caso di percezioni illusorie, del più alto
          grado di attendibilità. Il termine è ricco di significati diversi e indica sia la concreta
          esperienza  intesa  come  sperimentazione  scientifica,  sia  l’esperienza  comune  dei
          sensi, sia l’esperienza psicologica, che può essere estetica, sentimentale, teoretica,
          religiosa e filosofica, sia la somma delle acquisizioni realizzate da un individuo o da

          un gruppo attraverso il tempo.
          Il  problema  del  valore,  dell’estensione  e  del  significato  dell’esperienza  è  stato
          sempre  uno  dei  più  dibattuti  in  campo  filosofico,  specialmente  da  quando
          nell’antichità  i  filosofi  cominciarono  a  mettere  in  discussione  il  valore
          dell’esperienza  sensibile,  che  spesso  sembrava  contrastare  con  il  rigore  del
          pensiero; in Parmenide e in Platone ne è già presente la svalutazione. Nonostante lo

          sforzo  compiuto  da  Aristotele  per  rendere  valore  all’esperienza  sensibile,
          nell’antichità  e  nel  medioevo  essa  venne  considerata  del  tutto  secondaria  rispetto
          all’esperienza religiosa interiore.
          In  epoca  moderna  Bacone  e  Galileo  riaffermarono  energicamente  l’importanza
          dell’esperienza  sensibile,  senza  la  quale  nulla  è  possibile  costruire  (Nihil  est  in
          intellectu  quod  prius  non  fuerit  in  sensu);  questa  rivalutazione  dell’esperienza  è
          rimasta  caratteristica  di  tutto  l’empirismo,  anche  se  in  seguito  il  concetto  di

          esperienza è stato usato in senso più lato, come nel caso degli empiristi inglesi che
          con lo stesso termine hanno voluto alludere a ogni possibile contenuto di coscienza.
          I l razionalismo  moderno,  al  contrario,  ha  sempre  mirato  a  collocare  in  secondo
          piano l’esperienza sensibile, anteponendole le strutture più intime del pensiero come
          le  idee  innate,  che  appunto  permettono  al  soggetto  pensante  di  realizzare
          un’esperienza vera e propria; tale è la posizione di Leibniz (Nihil est in intellectu
   290   291   292   293   294   295   296   297   298   299   300