Page 284 - Dizionario di Filosofia
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La sua filosofia è personalissima, soprattutto nella parte che concerne la nozione del
          principio  di  individuazione,  l’essenza  e  resistenza,  la  forma  sostanziale,  la  teoria
          della conoscenza, la funzione della volontà. Viene spesso paragonato a san Tommaso
          e, più ancora, a Duns Scoto. È autore di Quodlibeta e di una Summa  Theologica,
          incompleta, opere pubblicate postume (1518-1520).

          ENRIQUES (Federigo), matematico e filosofo della scienza italiano (Livorno, 1871 -
          Roma, 1946). Professore dal 1896 all’Università di Bologna e quindi a Roma (dal
          1922  al  1938,  quando  venne  allontanato  a  causa  delle  leggi  razziali),  è  una  delle
          figure più importanti di epistemologo e filosofo della scienza italiani. Contrario al
          positivismo, al pragmatismo e in generale a qualunque « scientismo », fu assertore di
          una  concezione  realistica  che  vedeva  nel  processo  di  conoscenza  scientifica  il

          graduale  approfondimento  delle  conoscenze  «  oggettive  »,  parallelamente al
          potenziamento delle capacità « soggettive » di comprensione della realtà naturale.
          Accanto  ai  suoi  lavori  di  carattere  storicoscientifico,  vanno  ricordati  i  suoi
          contributi nel campo della geometria algebrica e proiettiva.

          Bibliogr.: Storia del pensiero scientifico, vol. I, Il mondo antico (in collab. con G.
          De Santillana), Milano 1931; Le matematiche nella storia e nella cultura, Bologna
          1938; Natura, ragione e storia, a cura di L. Lombardo Radice, Torino 1958.
          ENTE. Termine che, traducendo il gr. ón e il lat. ens, designa « ciò che è » ed è in tal
          senso usato come sinonimo di essere*. L’ente in quanto ente (to ón hê ón) è stato
          l’oggetto primo dell’indagine della metafisica classica, a cominciare da Aristotele.

          Di esso diedero sottili distinzioni gli scolastici: ens a se, ovvero che deriva da sé la
          propria esistenza (V. ASEITÀ); ens ab alio, che la richiede da altri (V. ABALIETÀ); ens
          per se, ciò che una cosa è in virtù della sua sostanza (V. PERSEITÀ). All’ens per se si
          contrappone  l’ens  per  accidens,  ciò  che  una  cosa  è  non  sostanzialmente:  ad  es.
          l’uomo  in  quanto ens per se  è  un  animale,  in  quanto ens per accidens può essere
          bianco. Infine distinsero l’ens reale dall’ens rationis, intendendo per il primo ogni

          cosa esistente in natura, per il secondo ogni cosa che è solo nel pensiero.
          In tempi moderni il termine è stato ripreso dal  Gioberti nella sua famosa formula
          L’Ente crec l’esistente, che significa che  Dio, l’ente per antonomasia, produce le
          cose esistenti, le quali derivano il proprio essere dal di fuori, ovvero da Dio stesso.
          ENTELECHÌA (gr. entelécheia, da en télei échein, essere nella perfezione). Termine
          usato da Aristotele per indicare la realtà giunta al suo stato di pieno compimento o

          perfezione.  Sebbene  egli  usi  spesso  indifferentemente  i  due  termini,  anche  nello
          stesso  contesto,  esiste  una  distinzione  tra energia  (enérgeia)  ed entelechia
          (entelécheia):  la  prima  è  la  realtà  nel  suo  farsi  atto,  la  seconda  è  la  realtà  che,
          attuatasi, ha raggiunto la perfezione; la prima può dirsi « attuazione » la seconda «
          attualità »; a entrambe si contrappone la dýnamis o potenzialità.
          Nella filosofia moderna il termine è stato ripreso da Leibniz, che lo ha applicato alle

          monadi, « in quanto hanno in sé una certa perfezione (échusi tò entelés); c’è una
          sufficienza (autárcheia) che le rende cause delle loro azioni interne », e dal Driesch
          che,  nella  sua  concezione  vitalistica,  ha  chiamato  entelechia  il  «  fattore  vitale
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