Page 259 - Dizionario di Filosofia
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riprendendo una classificazione degli scolastici, distingue tre tipi di distinzione:
reale, modale e di ragione. La distinzione reale è quella che intercorre tra due
sostanze; la distinzione modale è quella che intercorre tra il modo e la sostanza o tra
due modi di una stessa sostanza; la distinzione di ragione è quella che si pone tra la
sostanza e uno dei suoi attributi, senza il quale la sostanza non potrebbe esistere, o
tra due attributi ugualmente inscindibili di una stessa sostanza.
In tempi a noi più vicini, Ardigò ha enunciato la sua legge della distinzione, secondo
la quale la natura si evolve continuamente mediante il passaggio dall’indistinto al
distinto. (Per il concetto di distinzione in Croce, v. DISTINTO.)
DITTATURA del proletariato. L’espressione dittatura del proletariato (cioè degli
operai e dei contadini), che compare per la prima volta in uno scritto di Marx del
1852, net linguaggio marxistaleninista indica sia un certo sistema politico, sia una
fase provvisoria dell’evoluzione storica durante la quale le classi lavoratrici degli
operai e dei contadini assumono la direzione dello Stato, da cui sono state escluse le
vecchie classi sfruttatrici. Conseguenza inevitabile della lotta delle classi, la
dittatura del proletariato non dovrebbe essere fine a se stessa, ma momento
transitorio verso la costituzione inevitabile di una società senza classi, dato che la
scomparsa della classe borghese comporterebbe automaticamente anche quella della
classe dei proletari e di conseguenza sfocerebbe nella soppressione dello Stato, che
è solo l’espressione della lotta di classe.
DIVENIRE. Nell’ambito del pensiero occidentale il problema del divenire, ovvero del
passaggio, del movimento, sia sul piano logico (dove sembra mettere in crisi i
principi di identità e di non contraddizione: « A è A », « À non è non-A »), sia sul
piano metafisico (causa della generazione e della corruzione delle cose), si è posto
per la prima volta agli antichi filosofi greci. Eraclito vide nel divenire l’essenza
stessa di ciò che esiste: tutto cambia, tutto scorre (pánia rhêi), tutto è instabile: «
Non è mai possibile bagnarsi due volte nell’acqua dello stesso fiume ». L’essere ha
le sue radici nel cambiamento di ogni cosa nel suo contrario: il vago diventa preciso,
il vivente muore, il nuovo invecchia, l’uno è molteplice, l’essere è nonessere, lo
stesso è altro: ovunque è presente la « lotta dei contrari », che è anche unità profonda
e identità degli stessi. Eraclito ha dunque già una visione dialettica delle cose.
Parmenide, al contrario, negò ogni forma di divenire e affermò: « L’essere è, il non-
essere non è ». Dalle difficoltà poste da questa affermazione nacquero i paradossi e i
problemi dialettici di Zenone di Elea, tendenti a negare la nozione stessa di
movimento. Platone vide nel divenire un caso particolare e sensibile del problema
dialettico generale della comunicazione tra le Idee, che in un primo momento aveva
posto come rigidamente distinte e separate le une dalle altre. I cambiamenti che
hanno luogo nel mondo sensibile sono solo il riflesso della partecipazione
(metessi*) delle Idee tra loro nel mondo intellegibile: la scienza di tali rapporti è la
dialettica. Per Aristotele, il movimento è « l’atto del possibile in quanto possibile ».
Il passaggio da uno stato all’altro è passaggio da una privazione d’essere a un
possesso d’essere; di una virtualità o potenza, in realtà o atto. Nell’età moderna, i
filosofi hanno abbandonato generalmente la problematica del divenire, riducendo il