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esistesse.  Per  Tomasio  (Thomasius)  il  diritto  non  è  altro  che  pura  razionalità,

          strumento per raggiungere i fini razionali che la convivenza umana si propone; per
          Leibniz è pura logica che fa discendere da alcune premesse assiomatiche una serie di
          precetti  dilatabili,  in  forza  di  ragionamento  deduttivo,  a  volontà.  Fino  a  Hegel
          opinione dominante fu l’esistenza di un principio superiore alla legge positiva cui la
          legge stessa deve adeguarsi. L’esistenza di tale diritto naturale non venne posta in
          discussione  né  da  Bacone,  secondo  il  quale  il  diritto  naturale  deve  prevalere  su

          quello  positivo,  né  da  Bossuet,  che  risolve  il  diritto  naturale  nel  complesso  di
          direttive  che  Dio  ha  dato  agli  uomini  per  il  raggiungimento  delle  finalità
          provvidenziali. Anche Rousseau, pur affermando che il diritto è una delle invenzioni
          della  società  e  che  non  riguarderebbe  pertanto  l’uomo  isolato,  insistette
          sull’importanza del diritto naturale. Solo nel XIX sec. il concetto di diritto naturale,
          sotto  la  critica  del  positivismo,  trovò  sempre  meno  sostenitori  fra  i  giuristi  e  i
          filosofi. Una ripresa di concezioni naturalistiche si è avuta quasi ovunque in Europa

          al  termine  della  seconda  guerra  mondiale:  concorsero  a  determinarla  gli  orrori
          dell’ultimo  conflitto,  e  la  considerazione  che  solo  sul  terreno  del  diritto  naturale
          poteva trovare valida motivazione la punizione dei crimini di guerra che, sul piano
          del diritto positivo, si presentavano diffìcilmente punibili.

          Bibliogr.: Considerata la vastità dell’argomento ci limitiamo a indicare alcuni testi
          espositivi  e  introduttivi  alle  varie  questioni  inerenti  la  filosofia  del  diritto  e  il
          rapporto tra diritto positivo e diritto naturale: O. von Gierke, Giovanni Althusitts e
          lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, a cura di A. Giolitti.
          Torino 1943; J. Binder, La fondazione della filosofia del diritto, Torino 1945; H.
          Kelsen, La dottrina pura del diritto,  Torino  1952;  L.  Strauss, Diritto naturale e
          storia, Venezia 1957.

          DISAMIS.  Nella  logica  antica,  termine  mnemotecnico  con  cui  gli  scolastici
          designavano  il  terzo  modo  della  terza  figura  del  sillogismo,  in  cui  la  premessa
          maggiore e la conclusione sono particolari affermative (I, I), la minore universale
          affermativa (A).

          DISCONTINUO. Nell’antichità i pitagorici per primi si rappresentarono la realtà come
          discontinua,  cioè  formata  da  unità  puntuali  tra  loro  separate;  gli  stessi  pitagorici
          intuirono  però  anche  le  insormontabili  difficoltà  che  tale  concezione  comportava.
          Queste si presentarono a proposito del cosiddetto « teorema di Pitagora », quando
          apparve  ben  chiaro  che  in  un  triangolo  rettangolo  isoscele  non  può  esistere  alcun
          segmento, per quanto piccolo, che possa essere contenuto un numero esatto di volte

          tanto  nel  cateto  quanto  nell’ipotenusa;  i  due  lati  del  triangolo  sono  pertanto
          incommensurabili:  è  perciò  impossibile  che  ciascuno  di  essi  sia  costituito  da  un
          numero finito di punti, perché altrimenti il punto sarebbe contenuto m volte in un lato,
          n  nell’altro.  Da  ciò  derivò  il  sospetto  che  la  realtà  non  fosse  discontinua,  cioè
          costituita da punti staccati, ma piuttosto continua. Analogamente, l’atomismo antico
          poneva  all’origine  di  tutte  le  cose  elementi  distinti  e  indivisibili,  dunque  una

          fondamentale discontinuità.
          Leibniz, al contrario, ha affermato la continuità della natura con il famoso adagio:
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