Page 252 - Dizionario di Filosofia
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essere  spiegata  con  il  semplice  caso;  vi  sono  dunque  cause  finali,  vale  a  dire

          un’intelligenza ordinatrice. La serie di queste intelligenze ordinatrici non può essere
          indefinita; ne occorre logicamente una che si ponga come predominante e infinita,
          cioè Dio.
          Queste prove e in particolare quelle che contengono tutte le altre (prove basate sulla
          causa efficiente e sulla finalità) sono state criticate da Kant: se si risale di causa in
          causa, ad esempio, perché mai a un certo punto dobbiamo fermarci? perché il mondo

          stesso non potrebbe essere infinito? Inoltre, se si decide di fermarsi nel risalire di
          causa in causa, perché arrestarsi a quella causa che si definisce come « causa prima
          », e non prima e non dopo? Perché il mondo stesso non dovrebbe essere già di per sé
          necessario? e perché non dovrebbe proprio essere esso mondo la vera causa prima?
          b)  La prova teleologica si fonda sulla considerazione dell’armonia dell’universo e
          della  necessità  di  un  essere  intelligente  che  sia  la  garanzia  e  l’origine  di  questa
          armonia.  Questa  prova  è  stata  criticata  dagli  stessi  filosofi  cristiani.  Cartesio,

          Pascal, Malebranche hanno specificato che non si può fondare l’esistenza di Dio su
          un’armonia così poco perfetta come quella che domina il mondo, in particolare a
          causa dell’esistenza del male. Tale prospettiva venne fatta propria, in relazione alle
          teorie  scientifiche  newtoniane,  dal  deismo  inglese  (argument  from  design),
          provocando la stringènte confutazione — ritenuta decisiva — da parte di Hume nei
          Dialoghi sulla religione naturale (1779).

          c)  Le prove morali si fondano sull’aspirazione al bene che è presente nell’uomo,
          nella quale si vuol vedere il segno di un Dio giusto e buono. Ma per alcuni questa
          non è affatto una prova, perché il fatto che la bontà meriti una ricompensa che spesso
          in questo mondo non c’è non prova nulla e al massimo può essere un postulato, come
          ha affermato Kant (postulato della ragion pratica).
          Il  problema  del  valore  reale  delle  prove  razionali  dell’esistenza  di  Dio  rimane
          sempre  aperto,  nonostante  le  numerose  controversie  che  esso  ha  suscitato.  Per  i

          filosofi  non  credenti,  nessuna  di  queste  prove  appare  tanto sicura  da  dimostrare
          razionalmente l’esistenza di Dio. Altri pensatori, attraverso un percorso intellettuale
          del tutto diverso, che non esclude la fede, lasciano supporre che essi a tali prove non
          concedono che un generico valore di persuasione capace di sospingere qualcuno a
          credere,  senza  concedere  a  esse  alcun  valore  dimostrativo,  per  la  ragione  che

          l’esistenza  di  Dio  non  può  essere  dimostrata.  L’argomentazione  di  Pascal,  per  il
          quale la fede è « Dio sentito nel cuore », si basa su un criterio intuitivo e quindi
          indimostrabile e illustra nel migliore dei modi questa conclusione.
          Questa posizione, detta fideismo, non è stata mai accettata dalla Chiesa, che nel 1840
          impose al teologo francese Louis Bautain di sottoscrivere la seguente proposizione:
          « La ragione può provare con certezza resistenza di Dio ».
          Nel  1869-1870  il  concilio  Vaticano  ha  riconosciuto  alle  prove  razionali
          dell’esistenza  di  Dio  un  valore  preciso.  Ma  tra  il  valore  obbiettivo  di  un

          ragionamento e la sua capacità di convincere una coscienza individuale, esiste un
          abisso. Queste prove « fisiche » (ossia ricavate dall’esperienza sensibile) in realtà
          muovono già da una fede nel divino e in fondo mirano a ricostruire a livello del
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