Page 250 - Dizionario di Filosofia
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Per  William  James  noi  possiamo  conoscere  una  realtà  superiore  attraverso  un

          atteggiamento  mistico  che  ci  permette  di  cogliere  il  divino:  tale  esperienza  è
          possibile però solo a pochi.
          Per  Bergson  (Le  due  fonti  della  morale  e  della  religione)  esistono  due  tipi  di
          esperienza  religiosa:  l’una statica,  che  è  il  prodotto  dell’attività  fabulatrice
          dell’uomo (è la religione delle società primitive con i loro tabù, i loro miti e il loro
          elementare  spiritualismo),  e  l’altra dinamica  e  d’origine  intellettuale  (come  la

          religione dei mistici che godono il privilegio di cogliere Dio come oggetto della loro
          esperienza  mistica).  In  definitiva  è  attraverso  l’esperienza  e  la  testimonianza  dei
          santi  che  noi  siamo  informati  su  Dio,  sulla  sua  esistenza  e  sulla  sua  natura.
          Nonostante le numerose sfumature, per la corrente rappresentata da Blondel, da Le
          Roy, da Laberthonnière, la conoscenza religiosa è l’esperienza che noi abbiamo del
          divino  operante  in  noi.  Questa  convinzione  è  basata  sul  metodo  dell’immanenza.
          Così Blondel pensa che le prove razionali dell’esistenza di Dio non possano sfociare

          che a conclusioni di tipo logico-astratto: Dio vivente è per lui oggetto di esperienza
          diretta e lo si conosce attraverso l’azione, che è pratica « attuazione di una verità
          intravista  »,  concentrazione  di  «  tutte  le  nostre  risorse,  non  soltanto  affettive,  ma
          intellettuali, volontarie e morali ».
          Su  di  un  piano  più  strettamente  gnoseologico,  ma  con  qualche  analogia  con
          l’argomentazione  precedente,  si  muove  la  tesi  del  Rosmini  (Nuovo  saggio

          sull’origine delle idee, 1830), ripresa con una certa fortuna da  Michele  Federico
          Sciacca (L’esistenza di Dio, 1955).  Senza una verità originaria, l’intuizione della
          quale  lo  costituisca  come  spirito,  l’uomo  non  potrebbe  pensare.  Questa  verità
          originaria è l’idea di Dio: per essa l’uomo supera l’immediatezza della percezione
          sensitiva, diventa creatura ragionevole, emerge dalla naturalità in cui è immerso. La
          conoscenza  di  Dio  è  il  fondamento  del  nostro  spirito.  L’universalità  del  vero,  il
          carattere necessitante della legge morale sono due prospettive assolute delle quali la

          natura finita e contingente dell’uomo non saprebbe in alcun modo rendere ragione.
          II.  La conoscenza discorsiva di Dio si basa su « prove », cioè argomentazioni che
          sono, o si ritengono, fondate sulla ragione: queste prove possono essere a priori e a
          posteriori.
          1.  Le prove a priori derivano dalla teoria adottata per giustificare l’origine delle

          idee;  quella  di  Platone  e  dei  platonici  di  tutti  i  tempi,  ivi  comprese  la  scuola
          agostiniana  e  cartesiana,  riconosce  l’esistenza  nello  spirito  umano  di  idee
          indipendenti  dall’esperienza  e,  di  conseguenza,  ammette  che  Dio  possa  essere
          conosciuto a  priori  movendo  dall’analisi  di  una  di  queste  nozioni: idea  della
          esistenza di Dio (prova ontologica), idea della perfezione, idea del necessario.
          a) La prova ontologica di sant’Anselmo è così enunciata: « Ciò di cui nulla di più
          grande può essere pensato, non può esistere solo nell’intelletto: infatti se tale realtà
          esistesse solo  nell’intelletto,  se  ne  potrebbe  concepire  un’altra  come  esistente

          realmente e che in tal modo sarebbe superiore alla prima. Esiste dunque una qualche
          realtà di cui nulla di più grande può essere concepito ». Questa argomentazione è
          stata oggetto di una critica da parte di Kant, il quale ha osservato che l’idea di un
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