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Per William James noi possiamo conoscere una realtà superiore attraverso un
atteggiamento mistico che ci permette di cogliere il divino: tale esperienza è
possibile però solo a pochi.
Per Bergson (Le due fonti della morale e della religione) esistono due tipi di
esperienza religiosa: l’una statica, che è il prodotto dell’attività fabulatrice
dell’uomo (è la religione delle società primitive con i loro tabù, i loro miti e il loro
elementare spiritualismo), e l’altra dinamica e d’origine intellettuale (come la
religione dei mistici che godono il privilegio di cogliere Dio come oggetto della loro
esperienza mistica). In definitiva è attraverso l’esperienza e la testimonianza dei
santi che noi siamo informati su Dio, sulla sua esistenza e sulla sua natura.
Nonostante le numerose sfumature, per la corrente rappresentata da Blondel, da Le
Roy, da Laberthonnière, la conoscenza religiosa è l’esperienza che noi abbiamo del
divino operante in noi. Questa convinzione è basata sul metodo dell’immanenza.
Così Blondel pensa che le prove razionali dell’esistenza di Dio non possano sfociare
che a conclusioni di tipo logico-astratto: Dio vivente è per lui oggetto di esperienza
diretta e lo si conosce attraverso l’azione, che è pratica « attuazione di una verità
intravista », concentrazione di « tutte le nostre risorse, non soltanto affettive, ma
intellettuali, volontarie e morali ».
Su di un piano più strettamente gnoseologico, ma con qualche analogia con
l’argomentazione precedente, si muove la tesi del Rosmini (Nuovo saggio
sull’origine delle idee, 1830), ripresa con una certa fortuna da Michele Federico
Sciacca (L’esistenza di Dio, 1955). Senza una verità originaria, l’intuizione della
quale lo costituisca come spirito, l’uomo non potrebbe pensare. Questa verità
originaria è l’idea di Dio: per essa l’uomo supera l’immediatezza della percezione
sensitiva, diventa creatura ragionevole, emerge dalla naturalità in cui è immerso. La
conoscenza di Dio è il fondamento del nostro spirito. L’universalità del vero, il
carattere necessitante della legge morale sono due prospettive assolute delle quali la
natura finita e contingente dell’uomo non saprebbe in alcun modo rendere ragione.
II. La conoscenza discorsiva di Dio si basa su « prove », cioè argomentazioni che
sono, o si ritengono, fondate sulla ragione: queste prove possono essere a priori e a
posteriori.
1. Le prove a priori derivano dalla teoria adottata per giustificare l’origine delle
idee; quella di Platone e dei platonici di tutti i tempi, ivi comprese la scuola
agostiniana e cartesiana, riconosce l’esistenza nello spirito umano di idee
indipendenti dall’esperienza e, di conseguenza, ammette che Dio possa essere
conosciuto a priori movendo dall’analisi di una di queste nozioni: idea della
esistenza di Dio (prova ontologica), idea della perfezione, idea del necessario.
a) La prova ontologica di sant’Anselmo è così enunciata: « Ciò di cui nulla di più
grande può essere pensato, non può esistere solo nell’intelletto: infatti se tale realtà
esistesse solo nell’intelletto, se ne potrebbe concepire un’altra come esistente
realmente e che in tal modo sarebbe superiore alla prima. Esiste dunque una qualche
realtà di cui nulla di più grande può essere concepito ». Questa argomentazione è
stata oggetto di una critica da parte di Kant, il quale ha osservato che l’idea di un