Page 243 - Dizionario di Filosofia
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reciprocamente.  Nella  filosofia  pitagoria  la diade  si  contrappone  alla monade,

          l’unità.
          La  diade  introduce  la  molteplicità  e  il  movimento  nella  compattezza  statica  della
          monade. Nel neoplatonismo la diade è anche il simbolo numerico dell’Intelligenza,
          in quanto questa rompe l’Uno nella dualità di pensante e di pensato (Plotino). Con
          accezione affine la parola ritorna in Bruno e in Schelling.

          DIALÈTTICA  (gr. dialektik [téchnē], arte del dialogo). Ragionamento che, come nel
          dialogo, comporta opposizioni e diversità di punti di vista e mira a realizzare una
          sintesi conclusiva. • Evoluzione all’interno delle cose, che procede per opposizione
          e per superamento delle medesime.
          La dialettica fu inizialmente l’arte della discussione. Aristotele ne ritrova le origini
          negli  argomenti  di  Zenone  di  Elea  contro  il  movimento  e  la  molteplicità;  ma  la
          dialettica zenoniana sembra avere avuto un carattere puramente negativo, in quanto

          era  usata  solo  per  mettere  in  luce  le  contraddizioni  latenti  in  una  certa  nozione.
          Socrate  e  Platone  andarono  oltre  tale  aspetto  negativo,  senza  eliminarlo  del  tutto;
          l’ironia  socratica  e  la  contrapposizione  delle  tesi  nei Dialoghi  platonici,  infatti,
          conservano  ancora  il  punto  di  vista  critico  e  demolitore  della  dialettica;  ma  essa
          acquista  una  sua  positività  nel  passaggio  dal  sensibile  all’intelligibile  (dialettica

          ascendente)  e  nell’opposto  processo  dall’intelligibile  al  sensibile  (dialettica
          discendente).  Per  Platone,  infine,  la  dialettica  è  un  rapporto  che  si  realizza  nello
          stesso mondo delle idee in quanto l’essere ideale è pur sempre molteplice e realizza
          anche l’idea del nonessere, dato che ogni idea è ciò che non sono le altre. A partire
          da Aristotele, la dialettica è opposta alla dimostrazione analitica ed è considerata
          unicamente come discussione su opinioni probabili, come « logica del probabile »,
          precedente la vera e propria definizione scientifica. È dunque con Aristotele che si
          profila il senso peggiorativo della dialettica, ritenuta esterna alla stretta analisi di

          una nozione e suscettibile di perdersi in vane sottigliezze. Tale significato si oppone
          a quello già conferito al termine da Platone.
          Nel medioevo la dialettica era la seconda delle arti del trivio, coincideva con la
          logica formale e si contrapponeva alla retorica. In seguito, Kant usò nuovamente il
          termine  e  chiamò  «  dialettici  »  i  ragionamenti  illusori  che  portano  a  conclusioni

          diverse ed escludentisi vicendevolmente; il pensiero umano cioè, nel suo tentativo di
          superare i limiti dell’esperienza fenomenica e di cogliere la totalità della realtà, fa
          uso  di  questa  sorta  di  «  logica  dell’apparenza  »;  il  frutto  di  tale  attività,  sia  pur
          spontanea,  del  pensiero  porta  alle  antinomie  della  ragion  pura.  Gli  idealisti
          postkantiani svilupparono in senso positivo il concetto di dialettica, ed Hegel, nel
          suo panlogismo, dimostrò che la contraddizione è in realtà la condizione necessaria
          per garantire la tensione e quindi lo sviluppo di tutti i piani della realtà. Il termine in

          tal modo riacquistò definitivamente un significato positivo e pregnante; la dialettica
          non è pertanto uno strumento che il pensiero può accettare o rifiutare, ma con Hegel
          diventa  la  molla  del  pensiero,  della  realtà  naturale  e  della  storia  umana  intera.
          Appunto  ispirandosi  a  Hegel,  Marx  ha  concepito  il  suo materialismo*  dialettico,
          cercando di spiegare la storia attraverso l’opposizione dialettica delle classi sociali.
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