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Fino agli inizi del nostro secolo, il determinismo venne accettato così come lo aveva

          definito Laplace; ma in seguito agli studi sempre più approfonditi in campo fìsico e
          matematico, dopo il 1927 si è giunti ad affermazioni nettamente contrastanti con la
          tradizionale  prospettiva  deterministica;  è  tipica  in  tal  senso  la  posizione  di
          Heisenberg che, enunciando il suo principio di indeterminazione, così afferma: «…
          la natura sfugge a una fissazione precisa dei nostri concetti intuitivi a causa della
          perturbazione arrecata dai nostri mezzi di osservazione; mentre un tempo lo scopo di

          ogni ricerca era quello di scoprire e descrivere la natura così come essa è in sé e per
          sé, … ora noi comprendiamo che ciò è impossibile; nella fisica atomica non si può
          in  alcun  modo  prescindere  dalle  modificazioni  che  gli  strumenti  di  osservazione
          producono sull’oggetto osservato ».
          Bibliogr.: V. CAUSALITÀ.

          DEUSSEN  (Paul),  filosofo  tedesco  (Oberdreis,  in  Renania,  1845  -  Kiel  1919).  Fu
          professore di storia della filosofia nell’università di Berlino, poi, dal 1889, in quella
          di  Kiel;  seguace  di  Kant  e  di  Schopenhauer,  subì  pure  l’influenza  della  filosofia
          indiana, di cui fu valente studioso e interprete e che per primo introdusse, insieme

          con  quella  cinese  e  giapponese,  nella  storia  della  filosofia.  Opere  principali:
          Sistema  del  Vedānta  (1883), I  Sūtra  del  Vedānta  tradotti  dal  sanscrito  (1884),
          Storia  generale  delia  filosofia  (1894-1917), Elementi  della  filosofia  indiana
          (1900).
          DEWEY (John), filosofo e pedagogista americano (Burlington, Vermont, 1859 - New

          York  1952).  Rappresentante  del  tipico  spirito  pratico  ed  empiristico  americano,
          iniziò  la  sua  formazione  sui  testi  hegeliani,  che  lo  liberarono  di  ogni  residuo
          pesantemente  meccanicistico  e  materialistico  del  positivismo  dominante  nella
          seconda metà dell’Ottocento; giunse in seguito a una concezione della realtà come di
          un tutto organico, in cui ogni motivo apparentemente parziale si integra con tutti gli
          altri. Dal 1894 insegnò all’università di Chicago, dove cercò di mettere alla prova i

          suoi  principi  pedagogici  e  didattici,  che  intendeva  adattare  al  suo strumentalismo
          filosofico.
          Il concetto centrale della dottrina del Dewey è quello di esperienza, intesa nel senso
          più lato, comprendente quindi tutte le possibili relazioni che l’individuo vivente si
          costruisce  in  rapporto  all’ambiente  naturale  e  sociale  in  cui  vive.  Attraverso
          l’esperienza, che è interazione tra pensiero e natura, l’individuo coglie la situazione
          per  modificarla  al  fine  di  creare  una  situazione  migliore  (migliorismo),  a  lui  più

          favorevole.  In  tal  senso  la  realtà  è  estremamente  fluida  e  mutevole;  in  essa  deve
          operare  l’uomo  con  la  ragione,  che  è  però  solo  uno  strumento  fallibile.  Merito
          essenziale del Dewey è quello di aver trasferito questa concezione dell’esperienza
          nell’azione  educativa,  intesa  a  impegnare  il  bambino  e  l’adolescente  sul  terreno
          della responsabilità e del lavoro di gruppo. In questo senso la sua influenza è stata
          enorme, sia in America, sia in Europa.

          Anche  nell’estetica  Dewey  ha  segnato  una  forte  impronta.  La  sua  concezione
          antimetafisica  lo  portò  a  escludere  ogni  residuo  mistico  e  teologico  dall’arte,  la
          quale è per lui essenzialmente esperienza: non imitazione del reale, ma ricomporsi
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