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peripatetica, che diresse dal 190 al 150. Mandato a Roma con l’accademico
Cameade e lo stoico Diogene di Babilonia (155 a.C.) per perorare la causa degli
Ateniesi condannati all’ammenda a causa della distruzione della città di Oropo, vide
stringersi intorno alle sue eloquenti lezioni una folla di ascoltatori, tra cui Scipione
Emiliano e Lelio. Le sue dottrine e quelle dei suoi compagni urtarono il
conservatorismo della nobiltà senatoriale e la suscettibilità di Catone, che volle la
loro espulsione. Ritornato ad Atene, Critolao vi morì.
CRITÓNE, in gr. Kritōn, discepolo e amico d’infanzia di Socrate, uno dei più ricchi
cittadini ateniesi del suo tempo. Quando Socrate fu processato, Critone si rese
garante per il maestro e, dopo la condanna, gli offrì invano di farlo evadere. Diogene
Laerzio gli attribuisce diciassette dialoghi di argomento morale e politico e il Suda,
un’apologia di Socrate, ma non ci è rimasto alcun frammento. Al suo nome è
intitolato un dialogo di Platone.
CROCE (Benedetto), filosofo, storico e critico italiano (Pescasseroli, L’Aquila, 1866
- Napoli 1952). Nacque da una famiglia della grande borghesia del regno. Dei cugini
di suo padre, Silvio e Bertrando Spaventa, uomo politico liberale il primo, filosofo
hegeliano e sacerdote apostata il secondo, sentì sempre parlare con diffidenza e con
sospetto. Perfino quando si accingeva a partire per Roma per frequentare l’università
ricevette la raccomandazione di non frequentare le lezioni dello zio Bertrando, che
avrebbero potuto « strappargli dal petto i principi della religione ». In realtà egli si
era venuto allontanando dalla fede fin dagli anni di collegio: sentì i primi dubbi
come una malattia immonda che cercò di curare leggendo testi edificanti, ma infine si
avvide, scrutando in se stesso, di essere « fuori affatto dalle credenze religiose ».
Nel 1883 la vita del Croce fu sconvolta da una tragedia: i genitori e la sorella
morirono nei terremoto di Casamicciola ed egli stesso fu estratto assai malconcio
dalle macerie, sotto le quali trascorse alcune ore drammatiche. Lo zio Silvio
Spaventa assunse la tutela dei due superstiti, il giovane Benedetto e un fratello, i
quali si trasferirono così a Roma, nella casa molto frequentata dell’autorevole uomo
politico.
Croce ricordò sempre quegli anni, vissuti sotto l’impressione della sventura recente,
come i peggiori della sua vita; i soli nei quali, scrisse, « mi siano sorti pensieri di
suicidio ». Da questa prostrazione non lo liberavano certo i corsi della facoltà di
legge, frequentata senza convinzione e presto abbandonata. Decisiva fu invece
l’influenza delle lezioni di filosofia morale di Antonio Labriola, anche nel senso che
da esse il Croce apprese il valore catartico dello sforzo di chiarificazione razionale,
quando esso si esercita sui travagli e sui turbamenti dell’animo. Nacque così una
lunga amicizia, che ebbe un gran peso nell’evoluzione intellettuale del giovane
Croce. Il quale tuttavia, dopo essere tornato nel 1886 a vivere a Napoli, sembrò
trovare per qualche tempo nelle ricerche erudite il campo di applicazione più
congeniale. La sua attività di erudito e di storico doveva d’altronde farlo scontrare
necessariamente con tutti i problemi relativi alla natura, al significato e alla funzione
della scienza storica, che venivano stancamente dibattuti nella nostra cultura
accademica. Lesse allora anche la Scienza nuova del Vico e scoprì quello che