Page 22 - Dizionario di Filosofia
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IL MARXISMO
« Il marxismo – giacché questo nome è ormai adottabile come simbolo e
compendio di un molteplice indirizzo e di una complessa dottrina – non è e non
rimarrà tutto rinchiuso negli scritti di Marx e di Engels ». Così scriveva nel 1897
Antonio Labriola: l’andamento delle cose ha largamente confermato questa sua
constatazione e questa sua previsione. Pur rimanendo il pensiero di Marx e di Engels
quale nucleo originario di ispirazione, a cui sempre si ritorna, il marxismo ha avuto
svolgimenti vari e differenti, secondo le fasi successive del movimento operaio e
socialista (e poi comunista) internazionale, gli sviluppi del capitalismo e il suo dar
luogo a sistemi imperialistici, le rivoluzioni socialiste e le nuove forme di società e
di Stato che esse hanno prodotto (in ispecie la rivoluzione russa del 1917 e da
vittoria conclusiva del comunismo cinese nel 1949). Così si parla di « marxismo
della II internazionale » per il periodo antecedente il 1914; così si è parlato di «
revisionismo » marxista fin dalla fine del secolo scorso (la cosiddetta « crisi del
marxismo »), e poi, dopo il 1924, di « marxismo-leninismo », per denotare l’apporto
decisivo dato da Lenin (soprattutto nella teoria dell’imperialismo e nella teoria del
partito rivoluzionario), a cui negli ultimi decenni si è aggiunto quello del pensiero di
Mao Tse-tung non solo politico (concezione del rapporto fra partito, classi e insieme
del popolo) ma anche filosofico (teoria della contraddizione); forme nelle quali il
marxismo è divenuto dottrina ufficiale di forze politiche che determinano ormai il
destino di centinaia di milioni di uomini. A questo quadro va integrato il contributo
fornito da Antonio Gramsci, nella sua meditazione carceraria, circa le condizioni di
avanzamento del processo rivoluzionario nei paesi a capitalismo più maturo e in
società, come quelle europeo-occidentali, di complessa configurazione sociale. E
per brevità si devono qui tralasciare le dottrine separate e parzialmente
contrapposte, dette « deviazioni », come per es. il pensiero di Trotzkij, contro il
regime di Stalin; o lo stalinismo stesso considerato oggi da molti una « deviazione »
(economicistica e statalistica). E così via. Va anche ricordato che è assai diffusa, in
Occidente, la contrapposizione di un « marxismo occidentale » (che alcuni fanno
risalire al pensiero critico dell’ungherese György Lukács e del tedesco Karl Korsch,
elaborato a partire dall’epoca successiva alla rivoluzione di Ottobre) a un «
marxismo orientale » (il cosiddetto « Diamat », da Djalektičeskij Materializm) che
sarebbe la dottrina ufficializzata, ma anche sclerotizzata, nei paesi dell’Europa a
regime socialista. Una situazione dunque assai complessa, e tuttavia, nell’insieme
aperta e vitale.
Ma quando Antonio Labriola scriveva le righe che abbiamo citato all’inizio, il
termine « marxismo » da pochi anni era entrato nell’uso. Questo uso era venuto a
corrispondere, dopo la morte di Carlo Marx (1883), a due fatti principali: 1) al
prevalere del suo pensiero nel più grande partito operaio organizzato dell’epoca, la
socialdemocrazia tedesca (partito nuovo e moderno, con basi di massa; e quasi,
allora, un partitoguida nel movimento socialista internazionale); 2) al lavorìo di
aggiustamento, sistemazione e diffusione di quel pensiero per opera del vecchio
Engels (morto nel 1895) e di immediati prominenti seguaci quali il Bernstein (di lì a