Page 215 - Dizionario di Filosofia
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trasposto nel cervello dell’uomo ». Lenin tornò più volte sulla questione, soprattutto
polemizzando contro l’empiriocriticismo*. Gramsci, in una situazione problematica
più avanzata, scriveva: « Per la filosofia della prassi l’essere non può essere
disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto
dall’oggetto ».
COSMODICÈA (dal gr. kósmos, mondo e díkē, giustizia). Giustificazione del mondo di
fronte al problema del male, analogamente alla teodicea di origine leibniziana che,
sempre in vista del problema del male, tenta di giustificare Dio.
COSMOGONÌA. Dottrina dell’origine dell’universo.
• Le cosmogonie greche antiche, in quanto tentativi di spiegare l’origine
dell’universo per mezzo di narrazioni mitiche e poetiche (v. MITO) nella ricerca della
lontana matrice delle cose, possono essere considerate un primo e sia pure ingenuo
tentativo filosofico di ridurre la realtà a unità.
I più antichi autori di tali cosmogonie furono secondo la tradizione Ferecide di Siro
ed Epimenide di Creta, contemporaneo di Solone; anche i primi filosofi della scuola
ionica, come Talete, Anassimandro e Anassimene, tentarono una rappresentazione
dell’origine del cosmo, e così i filosofi pitagorici, gli eleatici, come Parmenide e
Zenone di Elea, e i pluralisti (Empedocle, Anassagora e Democrito). Tutti questi
antichi autori di cosmogonie ebbero una considerevole influenza sui filosofi
posteriori, che in molti casi ne svilupparono le premesse.
• Teorie cosmogoniche scientifiche. La prima cosmogonia su base scientifica fu
probabilmente quella di Cartesio (pubblicata nell’opera postuma Il Mondo o
Trattato della luce); pur fondandosi sul concetto astratto di moti vorticosi, era
un’ipotesi nebulare che precorse in maniera sorprendente alcune teorie moderne e
affermò, tra l’altro, la pluralità dei sistemi planetari nell’universo.
La teoria di Buffon fu certamente la prima di quelle catastrofiche (scontro fra il Sole
e una cometa). Invece la teoria di Kant (1755) e quella di Laplace (1796), esposte
indipendentemente l’una dall’altra e riposanti su basi sensibilmente differenti,
impostarono la teoria nebulare nella sua forma più moderna; soltanto nella seconda
metà del XIX sec. il problema del momento angolare del Sole si manifestò come
obiezione insormontabile per questa teoria (se si fosse formato per contrazione, il
Sole dovrebbe avere una velocità equatoriale di 600 km/sec invece dei 2 km/sec
osservati), e l’ipotesi nebulare venne considerata improbabile. Con l’inglese Jeans
all’inizio del nostro secolo si tornò pertanto alle teorie catastrofiche: il passaggio in
vicinanza o l’urto tangenziale di due stelle, l’emissione di materia per effetto di
marea, o la creazione di « ponti » di congiunzione fra i due astri, ecc. (Jeffreys,
Chamberlin, Moulton). Malgrado tutta una serie di difficoltà, queste ipotesi poterono
godere di grande favore fino al 1938, quando l’americano Russell dimostrò
l’incompatibilità tra la legge di conservazione del momento angolare e la
costituzione interna delle stelle da una parte, e dall’altra la formazione di un sistema
planetario come il nostro attraverso processi del tipo così teorizzato. Sempre nel
1938, negli Stati Uniti, Spitzer dimostrò che le proprietà fisiche della materia
stellare sono incompatibili col meccanismo di frammentazione di simile materia in