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trasposto nel cervello dell’uomo ». Lenin tornò più volte sulla questione, soprattutto

          polemizzando  contro l’empiriocriticismo*. Gramsci, in una situazione problematica
          più  avanzata,  scriveva:  «  Per  la  filosofia  della  prassi  l’essere  non  può  essere
          disgiunto  dal  pensare,  l’uomo  dalla  natura,  l’attività  dalla  materia,  il  soggetto
          dall’oggetto ».

          COSMODICÈA (dal gr. kósmos, mondo e díkē, giustizia). Giustificazione del mondo di
          fronte al problema del male, analogamente alla teodicea di origine leibniziana che,
          sempre in vista del problema del male, tenta di giustificare Dio.
          COSMOGONÌA. Dottrina dell’origine dell’universo.
          •  Le  cosmogonie  greche  antiche,  in  quanto  tentativi  di  spiegare  l’origine
          dell’universo per mezzo di narrazioni mitiche e poetiche (v. MITO) nella ricerca della

          lontana matrice delle cose, possono essere considerate un primo e sia pure ingenuo
          tentativo filosofico di ridurre la realtà a unità.
          I più antichi autori di tali cosmogonie furono secondo la tradizione Ferecide di Siro
          ed Epimenide di Creta, contemporaneo di Solone; anche i primi filosofi della scuola
          ionica,  come  Talete, Anassimandro  e Anassimene,  tentarono  una  rappresentazione
          dell’origine del cosmo, e così i filosofi pitagorici, gli eleatici, come Parmenide e

          Zenone  di  Elea,  e  i  pluralisti  (Empedocle, Anassagora  e  Democrito).  Tutti  questi
          antichi  autori  di  cosmogonie  ebbero  una  considerevole  influenza  sui  filosofi
          posteriori, che in molti casi ne svilupparono le premesse.
          •  Teorie  cosmogoniche  scientifiche.  La  prima  cosmogonia  su  base  scientifica  fu
          probabilmente  quella  di  Cartesio  (pubblicata  nell’opera  postuma Il  Mondo  o
          Trattato  della  luce);  pur  fondandosi  sul  concetto  astratto  di  moti  vorticosi,  era
          un’ipotesi nebulare che precorse in maniera sorprendente alcune teorie moderne e

          affermò, tra l’altro, la pluralità dei sistemi planetari nell’universo.
          La teoria di Buffon fu certamente la prima di quelle catastrofiche (scontro fra il Sole
          e una cometa). Invece la teoria di Kant (1755) e quella di Laplace (1796), esposte
          indipendentemente  l’una  dall’altra  e  riposanti  su  basi  sensibilmente  differenti,
          impostarono la teoria nebulare nella sua forma più moderna; soltanto nella seconda
          metà  del XIX  sec.  il  problema  del  momento  angolare  del  Sole  si  manifestò  come

          obiezione insormontabile per questa teoria (se si fosse formato per contrazione, il
          Sole dovrebbe avere una velocità equatoriale di 600 km/sec invece dei 2 km/sec
          osservati), e l’ipotesi nebulare venne considerata improbabile. Con l’inglese Jeans
          all’inizio del nostro secolo si tornò pertanto alle teorie catastrofiche: il passaggio in
          vicinanza  o  l’urto  tangenziale  di  due  stelle,  l’emissione  di  materia  per  effetto  di
          marea,  o  la  creazione  di  «  ponti  »  di  congiunzione  fra  i  due  astri,  ecc.  (Jeffreys,
          Chamberlin, Moulton). Malgrado tutta una serie di difficoltà, queste ipotesi poterono

          godere  di  grande  favore  fino  al  1938,  quando  l’americano  Russell  dimostrò
          l’incompatibilità  tra  la  legge  di  conservazione  del  momento  angolare  e  la
          costituzione interna delle stelle da una parte, e dall’altra la formazione di un sistema
          planetario  come  il  nostro  attraverso  processi  del  tipo  così  teorizzato.  Sempre  nel
          1938,  negli  Stati  Uniti,  Spitzer  dimostrò  che  le  proprietà  fisiche  della  materia
          stellare sono incompatibili col meccanismo di frammentazione di simile materia in
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