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superflue. La tarda scolastica individua nel principio logicometafìsico dell’identità
(A è A), che Aristotele non aveva mai formulato, un antecedente più « economico »
del principio di non contraddizione (A non è non-A). L’altro principio logico, quello
del terzo escluso, che è stato da una lunga tradizione accomunato agli altri due nella
dignità di « legge fondamentale del pensiero », ha significato solo nell’ambito
discorsivo: Aristotele infatti lo enuncia dicendo che « tra i giudizi contraddittori non
c’è un mezzo ». Il principio di non contraddizione viene assunto da Leibniz come
regola fondamentale delle verità di ragione, mentre le verità di fatto sono sottoposte
al principio di ragion sufficiente. In Hume la distinzione tra conoscenza fattuale e
relazioni di idee porta a sostenere la validità del principio di non-contraddizione
solo per queste ultime. Esso non vale invece per le conoscenze fattuali in quanto
solamente probabili e non dimostrative. Kant nella Critica della ragion pura
enuncia il principio nella forma della non contradictio in adiecto (« a nessun
soggetto conviene un predicato che lo contraddica »), notando che la formulazione
ontologicometafisica di Aristotele conteneva un improprio riferimento temporale («
nello stesso tempo »). Per Hegel e la scuola hegeliana il principio di non
contraddizione è la regola dell’intelletto astratto, mentre la ragione speculativa
rigetta il principio, cogliendo quel’a compresenza e reciproca necessità degli
opposti, che è la legge fondamentale del vivente e del concreto. Nella filosofia
italiana questo tipo di considerazione è particolarmente frequente negli scritti di
Gentile.
La logica moderna ha operato un radicale ridimensionamento del principio di non
contraddizione, o negando il suo carattere assiomatico e includendolo fra le
proposizioni dimostrabili (Boole), oppure sostenendo in linea più generale che non
esiste una regola privilegiata della convenienza fra le proposizioni entro i vari
sistemi di discorso, dipendendo la compatibilità unicamente dalle convenzioni e
dalle regole operative assunte a fondamento dei sistemi stessi (Carnap).
CONTRAPPOSIZIONE. Procedimento indiretto mediante il quale si opera la
conversione di una proposizione particolare negativa. (Consiste nel ricondurre
quest’ultima a una particolare affermativa, che poi si converte: « Alcuni animali non
sono capaci di saltare; alcuni animali sono incapaci di saltare; dunque alcuni [esseri]
incapaci di saltare sono animali ».)
CONTRARIO. Nella logica, si dice delle due proposizioni universali affermativa e
negativa che contengono due affermazioni contrarie; es.: « Tutti gli uomini sono
giusti. Nessun uomo è giusto ». Se l’una è vera, l’altra è falsa, poiché esse si
escludono a vicenda, ma la falsità dell’una non comporta necessariamente la verità
dell’altra: in realtà è logicamente possibile che siano entrambe false e che la verità
risieda esclusivamente nelle proposizioni particolari: « Alcuni uomini sono giusti;
alcuni uomini non sono giusti ». Il problema dei contrari, considerati non tanto dal
punto di vista strettamente logico, ma piuttosto come contrapposizione di fenomeni
qualitativamente diversi, fu già sentito acutamente dai filosofi antichi. In queste
opposizioni si volle spesso vedere una legge e in tale legge il principio generatore
delle cose. Empedocle lo trovò nell’amore e nella discordia; ai pitagorici è attribuita