Page 200 - Dizionario di Filosofia
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rise of liberalism, Nuova York 1934; G. G. Granger, La mathématique sociale de
Condorcet, Parigi 1956; A. Cento, Condorcet e l’idea di progresso, Firenze 1956; J.
Bouissonnouse, Condorcet: le philosophe dans la Révolution, Parigi 1962.
CONFLITTO. In sede morale, il conflitto dei doveri è la lotta tra due valori diversi, di
cui l’uno impone all’individuo un’azione, l’altro gliela proibisce. (Ad es., il conflitto
tra onore e amore nel Cid, o quello tra leggi scritte e leggi eterne nell’Antigone. La
nozione di conflitto di doveri è strettamente legata al problema della libertà e a
quello del valore.) Del conflitto tra la facoltà di teologia e quella di filosofia si
occupò Kant nell’ultima opera da lui pubblicata (Il conflitto delle facoltà, 1798), in
relazione anche alla censura cui era stata soggetta la sua opera sulla religione.
CONFUCIANESIMO. Il termine cinese, che si è soliti tradurre come confucianesimo,
ossia ju chia, non contiene riferimento alcuno al nome di Confucio, ma significa, a un
dipresso, « comunità degli uomini colti », « comunità dei letterati ». Esso ha quindi
un’accezione più ampia e indeterminata del termine « confucianesimo ». I ju erano
invece semplicemente coloro che condividevano una concezione della vita in cui la
cultura e l’impegno politicoamministrativo avevano una importanza preminente.
Questo spiega come si chiamino confuciani pensatori che differivano da Confucio
per molte concezioni e che spesso criticarono Confucio aspramente. La
denominazione è tuttavia giustificata dal fatto che le caratteristiche dei ju sopra
descritte, furono sviluppate soprattutto da Confucio, egli stesso perfetta incarnazione
dell’ideale del « letterato »; e dal fatto che l’educazione che conferiva il rango di ju
e apriva attraverso gli esami imperiali l’accesso alle carriere amministrative era
basata quasi esclusivamente sullo studio dei testi classici del confucianesimo
(ching). Il termine « classici » indica un gruppo ben determinato di opere fatte
risalire a Confucio o alla tradizione immediatamente posteriore, e taluni commentari
di tali opere. Esistono però diverse classificazioni dei classici. La più autorevole e
la più antica (II sec. a.C. circa) elenca cinque classici e cioè; Shih-ching (Classico
della poesia, noto anche come Libro delle odi); Shu-ching (Libro dei documenti)
che contiene discorsi e altri documenti storici attribuiti agli inizi dell’era Chou
(intorno al 1000 a.C.); Yi-ching (Classico delle mutazioni), intorno all’arte di trarre
gli auspici; Ch’un Ch’iu (Primavere e Autunni), gli annali del regno di Lu nel
periodo 722-481 a.C.; Li-chi (Memoriale dei riti), una. miscellanea di testi liturgici.
Una successiva classificazione, posteriore di almeno un millennio all’era Chou,
porta i classici a tredici, aggiungendone altri otto fra cui lo Tso-chuan (un
commentario al Ch’un Ch’iu), il Lun-yü (Conversazioni o Analettici di Confucio) e
i l Meng-tzû (Libro di Mencio). Intorno all’XI sec. d.C., con l’affermarsi del
neoconfucianesimo, acquistarono importanza preponderante fra tutti i classici i «
Quattro libri » che divennero il fondamento dell’educazione dei letterati. Questi
erano due capitoli del Li-chi (Memoriale dei riti), noti separatamente con i nomi di
Ta-hsüeh (Grande scienza) e Chung-yung (Giusto mezzo); nonché il Lun-yü e il
Meng-tzû.
Confucio aveva dato alla morale del suo tempo, che era una morale feudale, un
carattere più elevato, mettendo in rilievo il valore dell’autodisciplina e della