Page 196 - Dizionario di Filosofia
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concedo. Parola latina che significa ammetto, e che si usava soprattutto, come il
termine nego, nell’argomentazione scolastica.
CONCETTO. Il concetto è un’idea astratta e generale in quanto fissa alcuni caratteri
permanenti di un gruppo di individui tra loro simili, caratteri che poi vengono
attribuiti a tutti gli individui che entrano nel gruppo considerato. Non bisogna
confondere il concetto con l’immagine, la quale è semplice rappresentazione di un
oggetto preciso e individuato (ad es. l’immagine del duomo di Milano); il concetto
rappresenta invece tutti gli oggetti di uno stesso genere aventi caratteristiche simili
(ad es. le cattedrali in generale).
Dal punto di vista della logica, ogni concetto possiede una certa comprensione
(assieme delle note particolari comprese) e una certa estensione (gruppo di oggetti
cui il concetto si riferisce); ad es. il concetto di essere vivente ha una comprensione
minore e un’estensione maggiore di quello di uomo.
Mentre dunque astrazione e generalizzazione sono le due operazioni psicologiche
mediante le quali il concetto viene elaborato, comprensione ed estensione
costituiscono una valutazione logico-formale del concetto stesso. L’origine, la
consistenza e il significato del concetto sono sempre stati oggetto di particolare
attenzione da parte dei filosofi sin dall’antichità perché l’uomo, giunto a una certa
maturità critica, non ha potuto non stupirsi del fatto di possedere certe idee o concetti
come quello di cerchio, di giustizia, di bellezza, ecc., che per la loro stessa
perfezione non potevano essere stati ricavati da un’esperienza diretta. Platone tentò
appunto di giustificare i concetti immaginando un « mondo intelligibile »,
conoscibile cloè solo con l’occhio della mente, in cui tutte le idee possibili esistono
realmente nella loro estrema perfezione; gli oggetti del mondo sensibile secondo
questa ardita ipotesi altro non sarebbero che copie sbiadite delle idee, le quali
soltanto possiedono una concreta realtà. Aristotele, in polemica con Platone, sostiene
che i concetti sono il frutto dell’attività dell’intelletto che, attraverso l’aiuto dei
sensi, ricava per astrazione l’essenza formale degli oggetti. Nel medioevo il
problema della realtà del concetto divenne una delle questioni più dibattute e attorno
al cosiddetto problema degli universali si accesero polemiche anche violente, dato
che dalla sua soluzione scaturivano implicazioni che riguardavano la teologia e la
fede; alcuni scolastici sostennero una sorta di realismo platonico, nel senso che
affermavano che i concetti hanno una concreta realtà nella mente di Dio, prima
ancora di essere nelle cose (sant’Anseimo, Guglielmo di Champeaux, ecc.); altri,
come Abelardo, sostennero la tesi concettualistica secondo la quale i concetti sono
frutto di un’operazione della mente, mentre i nominalisti, come Roscellino di
Compiègne e più tardi Occam, vollero vedere nel concetto un puro e semplice nome
(flatus vocis), cioè una sorta di segno convenzionale che nulla ha che fare con
l’oggetto designato.
In età moderna la valutazione della natura del concetto ha continuato a essere oggetto
di contrasti; Cartesio, ad es., ha portato una netta distinzione tra i concetti innati, o
idee innate, e i concetti ricavati dall’esperienza; successivamente l’empirismo
inglese di Locke e di Hume ha sviluppato il punto di vista a posteriori. Con Kant il