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problema dei concetti è stato riesaminato da un punto di vista nuovo: per lui infatti
tutti i concetti sono a posteriori, cioè sono il frutto dell’esperienza; ma nello stesso
tempo egli ammette che i concetti nati con l’esperienza debbano avere un qualche
elemento a priori che permetta l’esperienza stessa. Questi sono i concetti puri o
categorie, che il pensiero non può però rappresentarsi come si rappresenta i concetti
a posteriori, perché sono soltanto pure possibilità. Mentre il concetto generico
esprime le qualità comuni trovate in ciascun appartenente a un determinato insieme
(ed è quindi un contenuto), il concetto puro, o categoria, è sempre una funzione
unificatrice, non è cioè un contenuto, bensì la forma che organizza il contenuto. Gli
idealisti, ampliando il criticismo kantiano, giungono con Hegel a vedere nel concetto
l’assenza stessa della realtà, cioè concretezza e universalità.
Successivamente il concetto è stato ritenuto, per es. da Mach e da Avenarius, il
risultato di una operazione riassuntiva che col minimo sforzo ci permette di
raccogliere un ampio numero di oggetti aventi caratteristiche simili; per il
neoidealismo italiano di Croce il concetto è invece universale concreto e si
contrappone allo pseudoconcetto che è solo un simbolo convenzionale ed
economico. Per Husserl infine il concetto non è un’astrazione, ma una sorta di
essenza, frutto di un’attività « intenzionale » intuitiva e immaginativa.
CONCETTUALISMO. Dottrina filosofica secondo la quale l’universale esiste nelle
cose e. separato da esse, è una concezione dello spirito, che esprime la natura
essenziale del pensiero. Con tale termine si designa la soluzione che al problema
degli universali diede Abelardo*. Non ammettendo, come i realisti, alla maniera di
Guglielmo di Champeaux, che l’oggetto di un’idea generale (genere o specie) fosse
un’essenza esistente in sé, né, come i nominalisti, alla maniera di Roscellino di
Compiègne, che questo oggetto fosse una semplice espressione verbale (flatus
vocis), sostenne che i generi esistono non in se stessi, ma in quanto si riferiscono, a
titolo di predicato, a soggetti individuali che sono cose esistenti; per questo chiamò
l’universale un discorso capace di servire d’attributo (sermo praedicabilis). Teorie
analoghe furono sviluppate dai discepoli di Abelardo nei trattati anonimi De
intellectibus e De generibus et speciebus. Quest’ultimo sostiene che ogni individuo
è composto di una materia, che è la sua specie, e di una forza, che è la sua
individualità; per es., Socrate ha per materia « uomo » e per forma « socraticità »:
come la forma « socraticità » non esiste se non nell’individuo Socrate, a maggior
ragione deve essere così per la specie « uomo », che è la materia che sostiene tale
forma. Bisogna tuttavia sottolineare che la parola « concettualismo » non era in uso
nei secc. XI e XII e che allora si distinguevano solamente due posizioni, quella dei
nominalisti e quella dei realisti, ovvero di coloro che negavano e di coloro che
affermavano la realtà degli universali: ora il concettualismo negava la realtà degli
universali, poiché riducendoli ai concetti predicati, era solo una variante del
nominalismo. D’altro canto, i seguaci di Guglielmo di Occam, talvolta assimilati ai
nominalisti, ammettevano, con i concettualisti, a fianco dell’universale per
convenzione, cioè della parola, l’esistenza di un universale naturale, ovvero il
significato della parola, o concetto; tale loro posizione è designata con il nome di