Page 173 - Dizionario di Filosofia
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profondi, ovvero che essa si trasformi con lentezza e continuità; in realtà, la maggior
parte delle alterazioni della personalità, con i deliri concomitanti, sembrano essere
provocate da un brusco rivolgimento nella cenestesi del soggetto o da certe
sensazioni strane e impreviste che essa gli procura e che possono essere all’origine
del delirio di quelli che credono che il loro corpo sia di legno, di vetro, d’oro o di
diamante.
ČERNYŠEVSKIJ (Nikolaj Gavrilovič), pensatore russo (Saratov 1828-1889). A
partire dal 1857, si oppose tenacemente alle riforme politiche di Alessandro II, da
lui giudicate insufficienti. Arrestato per le sue idee rivoluzionarie, scrisse in carcere
Che fare?, un romanzo a sfondo sociale che ebbe grandissima influenza sulle giovani
generazioni rivoluzionarie. Deportato in Siberia nel 1864 e rimesso in libertà
condizionata solo nel 1883, fu infine graziato nel 1889. In filosofia ebbe una visione
« realistica » e antropologistica, fondata sulla convinzione della priorità dei fatti
empirici e della possibilità di dare una base scientifica ai fatti etici ed estetici, per
analogia con quelli naturali.
Bibliogr.: Su C. molto importante è il cap. V dell’opera di F. Venturi, Il populismo
russo, 2 voll., Torino 1952.
CERTEZZA. Inizialmente, nella storia del pensiero occidentale, i primi filosofi greci
non si posero chiaramente il problema della certezza, perché essi pensavano ancora
che l’esperienza sensibile fosse capace di offrire senz’altro l’immagine esatta della
realtà. Soltanto con le scuole eleatica ed eraclitea si cominciò a denunciare
l’impossibilità dei sensi di riprodurre la realtà, e all’esperienza sensibile si
antepose quella razionale, ritenuta la sola capace di fornire una qualche certezza
sulla struttura del reale. La scuola sofistica, durante il V sec. a.C., con Protagora e
Gorgia negò ogni possibilità di certezza e giunse ad affermare che l’uomo può al
massimo giungere a una opinione puramente soggettiva. Socrate, Platone e Aristotele
reagirono alla sofistica proclamando la possibilità di realizzare una certezza morale
e gnoseologica che Platone fondava sull’esistenza di un mondo ideale, attingibile per
via intellettuale, e Aristotele sull’uso di una ferrea trama logica con cui il pensiero
può impadronirsi della realtà. In età medievale, la scolastica considerò due tipi di
certezza: l’una soggettiva, garantita dalla fede, l’altra oggettiva (legata cioè alla cosa
da conoscere), garantita dall’evidenza*.
Con lo sviluppo del pensiero moderno, il problema della certezza venne proposto in
termini di maggior chiarezza per merito di Cartesio, il quale, convinto della validità
del metodo geometrico-matematico, ritenne che applicando tale metodo alla ricerca
filosofica si potesse raggiungere una idea chiara e distinta e di per sé talmente
evidente da sottrarsi a ogni possibile dubbio: questa idea è quella dell’io pensante,
dalla quale, risalendo a Dio, si può poi ragionevolmente ritenere che il mondò
dell’esperienza abbia un suo valido fondamento e sia pertanto conoscibile secondo
un criterio di certezza che ha la sua origine nella veracità divina. Per Spinoza, che
continuò l’approfondimento del razionalismo moderno, il criterio di certezza nasce
dal profondo accordo tra pensiero e realtà, perché la verità si prova da sé medesima
e non ha bisogno di alcun altro criterio. I filosofi empiristi tra il XVII e il XVIII sec.